Paolo Limiti: il gentiluomo che ha portato Hollywood nelle nostre case

sabato, settembre 27, 2025

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Ci sono persone che sanno trasformare i ricordi in racconto, e i racconti in emozione. Paolo Limiti è stato questo: un gentiluomo della memoria, un divulgatore appassionato che ha saputo aprire al pubblico italiano le porte dorate di Hollywood con discrezione, precisione e una devozione rara. In un mondo spesso assordante, lui ha preferito il sussurro alla retorica, il dettaglio alla provocazione, la nostalgia alla celebrazione vuota.
 
Io, Paolo, l’ho scoperto tardi. Ci vediamo in TV, la trasmissione di metà anni ’90 che lo rese celebre, non ho avuto il piacere di vederla. Per tutta la durata delle elementari e delle medie, rimanevo a scuola fino a pomeriggio inoltrato. Tornavo a casa giusto in tempo per Sabrina, vita da strega e il cartone animato Rossana.
L’incontro con lui avviene molto più tardi, una mattina dell’estate 2012, che cambierà tutto.
Ero in montagna, in vacanza, e facevo zapping come si fa in quei momenti lenti e sospesi, senza aspettative. A un tratto, mi blocco: sento pronunciare il nome di Natalie Wood. Sobbalzai.
Non era una semplice citazione: iniziava a raccontarne la vita e la tragica fine con uno stile asciutto, documentaristico, eppure pieno di umanità. Rimasi ipnotizzata. Avevo la sensazione che qualcuno, finalmente, parlasse di una nicchia a me così cara.
Il blog ancora non esisteva, ci sarebbe voluto del tempo. Sarebbe nato solo nell’ottobre del 2015. Ma quel momento, davanti alla televisione, fu come una chiamata. Un segnale nitido che mi indicava una strada.
Scoprii solo in quel momento che quella perla di programma, E state con noi in TV, andava in onda da luglio, e che quella era l’ultima settimana. Una ferita e un regalo nello stesso istante. Naturalmente, non mi persi neanche un minuto di quelle ultime puntate.
Ma qualcosa dentro si era acceso, e come spesso mi accade quando temo che un frammento prezioso stia per sfuggirmi, mi trasformai in una piccola locomotiva. Su RaiPlay c’erano pochissime puntate disponibili, così iniziai a cercare ogni indizio: gli ospiti, i musicisti, i membri del cast. Li contattai uno ad uno su Facebook, chiedendo, cercando, ricostruendo. E così, piano piano, con ostinazione e una buona dose di follia, riuscii a mettere insieme quasi tutte le puntate mancanti. Quella era stata la prima pazzia.
La seconda arrivò un anno dopo, nell’estate del 2013. Mi ero laureata da poco, e grazie a Pino, un caro amico di Paolo con cui ero rimasta in contatto su Facebook, scoprii che si trovava in vacanza ad Alassio. Decisi, con quella tenerezza che accompagna i gesti impulsivi ma profondamente sentiti, di fargli avere la mia tesi di laurea. Il tema? Via col vento, il suo film del cuore. Poi  è arrivato il messaggio: “La tua tesi, tutta rilegata in rosso, è arrivata”. Al solo pensiero mi emoziono. E a proposito, grazie ancora Pino!
Ma c’è un motivo in più per cui ho voluto scrivere questo articolo, ed è anche ciò che lo rende diverso da tanti altri. Paolo Limiti viene ricordato per le sue canzoni, i suoi programmi, la sua verve elegante da intrattenitore. Io ho preferito guardare altrove, cercare il filo che lo legava profondamente al cinema classico americano, quel mondo che ha saputo raccontare con rispetto, incanto e autenticità. E per farlo, come sempre, sono partita dall’inizio.
Ho ricostruito con cura la storia della sua famiglia, perché credo che le radici dicano molto del modo in cui una persona sogna. Ho scoperto dettagli sorprendenti, quasi cinematografici, e per riuscire a verificarli ho scritto a biblioteche in tutta Italia, frugato tra archivi dimenticati.
Mi ci sono buttata con passione, lasciandomi travolgere, come mi accade ogni volta che sento di avere davanti una figura che merita di essere riscoperta.
Se alla fine di questo viaggio qualcuno sentirà di aver conosciuto Paolo un po’ più da vicino, allora avrò fatto la cosa giusta. 
E per festeggiare i dieci anni di questo blog, che ricorrono il 2 ottobre, non riesco a immaginare un articolo più giusto di questo.
Radici

Per raccontare davvero Paolo Limiti bisogna partire dalle sue radici. Sua madre si chiama Rosa Maud Sardella, un nome scelto in onore della nonna e della regina Maud di Svezia, figura molto amata dal padre. Ma negli anni in cui i nomi stranieri venivano spesso italianizzati, Rosa Maud diventa prima Rosetta, poi semplicemente Etta, un diminutivo che finisce per sostituire del tutto l’originale, e che la accompagnerà per il resto della vita.

Nata in Sicilia nel 1914 da padre napoletano e madre austriaca – con una bisnonna che era stata dama di corte della regina Margherita – Etta si trasferisce a Milano a soli due anni. Poco dopo perde la madre, e quando anche il padre parte per la Prima guerra mondiale, viene affidata alle suore Orsoline.
Alla fine del conflitto si ricongiunge con il padre, che nel frattempo si è risposato. Uomo cosmopolita, ha vissuto in Germania, parla quattro lingue, ma conserva i principi rigidi dell’uomo del Sud. Alla figlia impone un’educazione severissima.
Etta studia pianoforte, si diploma al Conservatorio, ma quando manifesta il desiderio di intraprendere la carriera musicale, il padre la blocca ritenendolo troppo sconveniente per una signorina. Così lei abbandona il sogno del concertismo e si dedica alla scrittura.
È una ragazza bella, colta, molto corteggiata. Fino a quando conosce un giovane ingegnere di Milano e lo sposa.  
 
Calimero Limiti è nato in Francia, ma si trasferisce in Italia a sei anni, a Motta Visconti in provincia di Milano. La madre, francese, dà lezioni private agli studenti del paese, mentre lui studia con dedizione, fino a diventare ingegnere. Nel tempo libero coltiva una grande passione per il tennis. 
Quel nome insolito, Calimero, non gli piace molto, anche se sua madre lo pronuncia con affetto alla greca, Calimerò. Lui, invece, preferisce essere chiamato semplicemente Calì. Con Etta si crea subito un legame profondo. Sono molto diversi, ma si completano: lei è creativa, colta, piena di intuizioni; lui più riservato, razionale, concreto. 
 
La famiglia si allarga 
Paolo nasce a Milano l’8 maggio 1940, in un mercoledì di primavera. Appena un mese più tardi, il 10 giugno, l’Italia entra in guerra. E suo padre viene chiamato al fronte.

Calì parte per la Campagna di Russia, assegnato al Fronte del Don. È una spedizione disperata, con condizioni climatiche estreme e una logistica precaria. Dopo la tragica ritirata, meno della metà dei soldati italiani riesce a tornare a casa.
Lui ce la fa, a piedi, come in una leggenda di guerra. Paolo racconterà che suo padre aveva con sé solo una fiaschetta di grappa, e che durante tutto quel terribile cammino spronava i compagni a non piangere, a non fermarsi, perché chi si fermava veniva inghiottito dal gelo.
Nel frattempo, a Milano, i bombardamenti cancellano anche ciò che resta della normalità.
La casa dei nonni viene distrutta, e così Etta e il piccolo Paolo si rifugiano in Brianza, a Nibionno, dove resteranno fino alla Liberazione del 1945.
Paolo cresce lì, nella campagna lombarda, come un piccolo selvatico. Corre tra i prati, rincorre conigli, gioca a tombola, parla in dialetto e la sera si scalda nella stalla, perché l’elettricità non c’è.
Etta, per farlo addormentare, non si affida a fiabe o principesse. Gli racconta invece storie vere: scoperte scientifiche, invenzioni, eventi che hanno cambiato il mondo. Una notte gli parla della nascita della penicillina. Paolo ascolta con occhi enormi. È lì, sotto coperte semplici e lampade a petrolio, che si accende in lui la scintilla della curiosità.
Sopravvivere
Quando la guerra finisce, Calì torna a Milano. Cerca la sua casa, in via Vittor Pisani, ma non trova nessuno. È allora che avviene un piccolo miracolo, in una scena che sembra uscita da un film.
Mentre vaga in Corso Buenos Aires, passa per la galleria Puccini e si ferma davanti alla vetrina di un fotografo. Lì, tra i ritratti, riconosce Etta. E accanto a lei, c’è un bambino: è Paolo. Si precipita dentro, chiede informazioni, vuole sapere dove sono. Pochi giorni dopo, può finalmente riabbracciare la moglie e il figlio che non vede da cinque anni.


Il primo amore non si scorda mai
La famiglia Limiti rientra a Milano, stavolta in via Soperga, non lontano dalla Stazione Centrale. Paolo ha sei anni appena, e in questo nuovo inizio germoglia uno dei grandi amori della sua vita: il cinema classico americano.
È Etta a condurlo per mano verso le prime proiezioni. Lo accompagna, lo guida, lo introduce con naturalezza a quel mondo incantato di immagini e storie. C’è un aneddoto che Paolo amava raccontare: andarono insieme a vedere Martin Eden, con Glenn Ford. All’uscita dal cinema, Etta lo guardò sorridendo: “Sì, il film è bello, ma il libro di Jack London da cui è tratto lo è ancora di più.” Non era solo un commento, ma un seme. Un invito ad approfondire, a leggere, a cercare sempre di più.

I primi titoli che vede si imprimono nella memoria come incisioni su pellicola: Le fanciulle delle follie, uscito in Italia nel 1948, con Lana Turner, Hedy Lamarr e Judy Garland. 
Poi arriva Fascino con Rita Hayworth e Gene Kelly. Uscito in Italia nel 1949, è un colpo di fulmine. Quel rosso vivido dei capelli di Rita, acceso dal Technicolor, diventa per Paolo un’icona assoluta. Si innamora del cinema americano come ci si innamora di una donna che forse non incontrerai mai davvero, ma che cambia per sempre il modo in cui guardi il mondo.

Quell’amore non si affievolisce. Anzi, cresce, si fa passione precisa, quasi archivistica. Paolo lo coltiva con dedizione ostinata, come chi ha trovato nell’altrove una forma di casa.
E la vita, come spesso accade con chi sa desiderare forte, gli mette sotto casa l’occasione perfetta.
La famiglia Limiti abita proprio di fronte ai depositi italiani della Columbia e della Metro-Goldwyn-Mayer, nel cuore di Milano. Dietro quelle mura industriali, si controllano e si montano le pellicole che stanno per arrivare nelle sale. È il retrobottega dei sogni, e Paolo lo scopre presto.
Ancora bambino, comincia a intrufolarsi di nascosto nei magazzini. Si muove tra bobine e macchinari come un esploratore in un tempio sacro. Le operaie, colpite dalla sua passione, iniziano a regalargli spezzoni di film in 35 millimetri.
Questa esposizione diretta al mondo del cinema lo spinge a volerne sapere sempre di più. Paolo decide di imparare l’inglese per poter ascoltare i film in versione originale, senza filtri. E comincia presto, da autodidatta.
Uno zio d’America, che gli spedisce giocattoli e riviste, diventa una sorta di alleato nella sua formazione.
Mentre gli altri bambini giocano a pallone, Paolo ritaglia le foto delle dive, le incolla su un album, e si esercita a battere a macchina i nomi di Joan Crawford, Bette Davis, Katharine Hepburn. Un passatempo per imparare a dattilografare, ma anche un primo modo per imprimere nella mente quelle presenze che già sente familiari.

Un ragazzo speciale
A scuola, però, è tutta un’altra storia. I compagni sembrano correre spediti: memorizzano battaglie, date, guerre come fosse un gioco. Lui deve forzarsi, ripetere, trattenere a fatica nozioni che gli restano estranee. Ci riesce, ma solo a costo di una fatica continua.
Poi, appena torna al suo mondo – cinema, teatro, letture – succede qualcosa. Tutto diventa facile, spontaneo. Ricorda senza sforzo nomi, volti, anni, dettagli minuscoli. Sa riconoscere un film da una bobina, cita i tecnici nei titoli di coda come se li avesse conosciuti.

Un giorno si ferma a riflettere: riesce a leggere Proust o imparare il tedesco senza fatica, mentre chi lo supera a scuola arranca. Forse è solo nel posto sbagliato.

Negli anni Cinquanta Calì diventa procuratore per la Pirelli e la famiglia Limiti si sposta spesso a causa del suo lavoro: prima in Sicilia, poi in Sardegna, infine a Torino, dove resteranno a lungo. Paolo frequenta lì le scuole superiori e si iscrive all’Istituto Tecnico Industriale Avogadro: una scelta più pragmatica che sentita, suggerita da uno zio industriale pronto a offrirgli un posto. 

Nonostante l’indirizzo scolastico scelto, Paolo continua a sentirsi fuori posto.
L’unico spazio dove davvero si rilassa è il teatro, il cinema, la scrittura. Il resto è fatica, rigidità, pressione.
Paolo si diploma nel 1962 e torna a Milano. Inizia a lavorare alla Honeywell una ditta americana dove traduce manuali tecnici. Passa poi alla Eigenmann & Veronelli, un'azienda tedesca: a soli 21 anni diventa capoufficio, con due segretarie. È stimato, guadagna bene, ma non è felice. 
Nel 1964 muore Calì. Paolo, che ha 24 anni, resta accanto alla madre. Il loro legame, già fortissimo, diventa quasi simbiotico. Anche quando, anni dopo, Etta si risposerà con Giorgio, resteranno sempre vicini.
Il diploma sull'armadio
Sempre nel 1964 Paolo un giorno legge un’inserzione: la Lintas, una delle agenzie pubblicitarie più importanti del periodo, cerca nuovi creativi. È l’epoca in cui il Carosello è una forma d’arte. Si presenta. Gli offrono una scommessa: rinunciare a un terzo dello stipendio, con la promessa di raddoppiarlo in un anno. Esita. E chiede consiglio a sua madre. Etta non ha dubbi: «Senti, la vita è una sola. Prendi il diploma da elettrotecnico, buttalo sull’armadio, e fai quello che vuoi».

Quella frase cambia tutto. Paolo accetta il lavoro alla Lintas e ci resta fino al 1968. In quegli anni firma soggetti, sceneggiature e dirige alcuni Caroselli: quei piccoli film che, allora, erano molto più di semplici spot. Erano prove d’autore in miniatura, veri esercizi di stile narrativo e visivo.
È il primo passo verso il mondo dello spettacolo. Comincia a scrivere testi per la musica leggera, e il suo nome inizia a comparire accanto a quello di grandi interpreti italiani, prima fra tutti Mina. 
Quel piccolo, grande schermo  
Negli anni '70 inizia a lavorare anche in televisione come autore. Tra le prime esperienze importanti c’è Rischiatutto, il quiz di Mike Bongiorno. Paolo è tra gli autori, e a lui si deve un’idea che diventerà iconica: inserire spezzoni di film – sequenze brevissime – nelle domande sul cinema. In un’epoca in cui i film si vedevano solo al cinema, e non si potevano certo rivedere quando si voleva (io mi sarei disperata), quei frammenti erano come lampi: risvegliavano ricordi, incuriosivano, aggiungevano magia.
Recuperarli non era semplice: servivano richieste formali in Cineteca, e settimane di attesa. Ma Paolo lo sapeva già: per raccontare davvero il cinema servono pazienza, precisione e un amore sconfinato per il dettaglio.
Nel 1996, dopo una lunga carriera dietro le quinte, arriva finalmente davanti alla telecamera. Debutta su Rai Uno con E l’Italia racconta, che presto si trasforma nel suo salotto televisivo per eccellenza: Ci vediamo in TV.
Il format è semplice, ma la forza è tutta nel modo in cui Paolo lo conduce. Nel suo studio accogliente ospita personaggi della musica, del teatro, della TV e del grande cinema. Ogni puntata è un equilibrio perfetto tra intrattenimento e memoria: canzoni, racconti, interviste. E, immancabile, uno spazio dedicato alla storia di Hollywood, con monografie costruite con cura e passione.
Va in onda nel primo pomeriggio, ma conquista un pubblico sorprendentemente trasversale: studenti, casalinghe, pensionati. Nelle case di riposo, si anticipa il pranzo e si posticipa il sonnellino pur di seguirlo. Il programma tocca punte di ascolto oltre il 30%: segno di quanto il pubblico sentisse il bisogno di una televisione gentile, colta ma accessibile. Una TV che faceva risuonare la memoria, senza forzarla.
Ma Paolo non si limita a raccontare aneddoti: invita le star in studio, dando loro voce. Attrici come Esther Williams, Sandra Dee e molte altre – di cui vi parlerò tra pochissimo – tornano a parlare con il pubblico italiano dopo anni di silenzio. E anche se l’età le ha cambiate, Paolo non le presenta mai come reliquie. Le accoglie con rispetto, curiosità, calore. Perché per lui avevano ancora qualcosa da dire. E sapeva come farlo emergere.
Anzitutto conosceva alla perfezione luoghi e costumi americani, anche grazie ai suoi numerosi viaggi.

Parlava un inglese perfetto, imparato da autodidatta per amore del cinema. Poter dialogare direttamente con gli attori, senza interpreti, faceva la differenza. Nessuna attesa, nessun filtro: solo una conversazione fluida, sincera, che creava intimità.
Sapeva ascoltare, cogliere il momento, dire la parola giusta per evocare un sorriso o un ricordo. Non compativa mai, ma capiva tutto. E costruiva dialoghi nei quali l’ospite si sentiva rispettato, ascoltato, valorizzato.
Come quella volta in cui “soffiò” Kim Novak a Walter Chiari. Negli anni Sessanta, l’attrice era a Milano per uno spettacolo al Teatro Nuovo. Il produttore chiese a Paolo di farle da interprete. Appena entrato nel camerino, lui le cita un verso da una poesia che Kim aveva pubblicato su una rivista. Lei sgrana gli occhi, sorpresa: «Come fai a conoscerla?». Restano a parlare tutta la sera, mentre Walter Chiari, arrivato apposta, resta fuori ad aspettare. Paolo aveva capito una cosa semplice: quando i divi americani sentivano che c’era davvero interesse per ciò che erano, erano molto più disponibili di tanti divi nostrani.
Le interviste
A conferma del suo amore autentico per il cinema classico, Paolo riesce in qualcosa che pochi conduttori prima di lui avevano tentato: far tornare in TV le grandi star di Hollywood, quelle che avevano fatto sognare il pubblico italiano nei decenni d’oro.
In questi preziosissimi video trovati online scorrono, una dopo l’altra, immagini che sembrano incredibili: sul divanetto del suo studio, in un’atmosfera calda e mai invadente, si avvicendano nomi leggendari.
 
 
 Al min. 1.21

 
ESTHER WILLIAMS
 
Quando arriva a Milano nel 1998, la diva dei musical acquatici è molto più di un’ex stella hollywoodiana: è una donna d’affari, una campionessa, un simbolo di resilienza. Si presenta con ironia e leggerezza, scherzando sul fatto che al metal detector è suonato tutto per via della protesi al ginocchio. Ma è solo l’inizio. Racconta della sua azienda di costumi da bagno, tra le prime quattro negli Stati Uniti, e lo fa con l’orgoglio misurato di chi ha sempre saputo reinventarsi.
JACK LEMMON
Collegato dagli Stati Uniti, Lemmon a un certo punto interrompe Paolo: «C’è anche Walter Matthau, ti va se vado a chiamarlo così chiacchieri un po’ anche con lui?». E pochi minuti dopo, sono tutti e tre sullo schermo, a scambiarsi battute come amici sul divano, a migliaia di chilometri di distanza.
CHARLTON HESTON
 
Questa è stata una delle interviste più intense. L'attore era già affetto dal morbo di Alzheimer, anche se la diagnosi non era ancora pubblica. Alla fine dell’intervista, in diretta, Heston dice a Paolo: «Questa è stata la più bella intervista della mia vita». Pochi mesi dopo annuncerà la malattia, con parole struggenti: «Se qualche volta vi incontro e non vi saluto, non è perché non voglio farlo, ma perché non vi ho riconosciuto. Adesso che posso ancora farlo, vi saluto tutti». Poi scompare dalla scena pubblica. Quell’intervista con Paolo resta come un ultimo saluto.
JANE RUSSELL
 
La Russell è ospite di Limiti più volte. Sempre generosa, sempre sincera. Uno dei momenti più toccanti arriva nel 1997, durante lo speciale Stasera Marilyn Monroe, a 35 anni dalla scomparsa della diva. In studio, insieme a Jane, ci sono anche Jim Dougherty, primo marito di Marilyn, e il fotografo James Haspiell.
Jane rievoca il set di Gli uomini preferiscono le bionde: confessa che né lei né Marilyn erano ballerine esperte, e che il merito della celebre coreografia va tutto a Jack Cole, capace di infondere sicurezza anche a chi ne aveva poca. Poi il ricordo si fa più intimo. Marilyn aveva cominciato ad arrivare in ritardo. Jane, inizialmente infastidita, scoprì che in realtà la collega arrivava prima di tutti, ma restava nascosta, paralizzata dal panico. Fu allora che Jane andò da lei, le tese la mano e disse semplicemente: «Andiamo, biondina». Un gesto piccolo, ma pieno di umanità. Una carezza tra colleghe, che racconta molto più di tante biografie.

ELIZABETH TAYLOR 
Nel giugno del 2000, Paolo vola a Los Angeles per quella che chiamerà l’intervista più importante della sua carriera. Elizabeth Taylor non concedeva facilmente confidenze, ma con lui – come spesso accadeva – qualcosa si accende.
L’incontro inizia quasi come un gioco di seduzione. In un primo momento accetta, poi ci ripensa: è stanca, deve partire. Paolo, con una delle sue mosse eleganti, la spiazza:
«Vuol dire che non potrò baciarti, né abbracciarti? E darti il mio regalo? Gli orecchini che ti ho preso da Van Cleef?». Silenzio. Poi Elizabeth dice: «Va bene. Vieni domani, bungalow 3, alle 3».

Paolo si presenta puntuale. Lei lo aspetta seduta sul divano, accarezzando il suo cane maltese, Sugar. Quando lui le chiede come preferisca essere chiamata, risponde: «Tutti mi chiamano Liz, ma da piccola mio fratello mi chiamava Liz the Lizard, Liz la lucertola, e non lo sopportavo».
La prima cosa che racconta è della cicatrice da 17 centimetri lasciata da un’operazione per un tumore al cervello: «Volevo dire a tutte le donne nelle mie condizioni di non vergognarsi. Quel segno significa che abbiamo superato qualcosa di grande». Anche la sua fama, da sempre prigione dorata, si trasforma in strumento per fare del bene: la lotta contro l’AIDS è la sua battaglia più sentita.
Paolo le chiede di parlare dei suoi amori: «Hai detto che nella vita di ogni donna dovrebbe esserci un Mike Todd». Elizabeth conferma:  «Sì. Lui era straordinario. Aveva un’anima grande, generosa. Era curioso di tutto. Un genio».
Poi racconta di come si sono conosciuti:  «C’era una festa a casa sua, era domenica. Eravamo attorno alla piscina, seduti schiena contro schiena. I nostri corpi si toccavano e io avevo la pelle d’oca. Poi si voltò, mi guardò negli occhi e disse: Non hai scelta, tu mi sposerai!».
Poi Elizabeth inizia a raccontare di Roma, di Cleopatra, di Richard Burton:  «Con lui è stato un amore folle. Eravamo due pazzi innamorati, in grado di fare qualunque cosa e di farla franca. Ci chiamavano i litigiosi Burton, ma erano litigi d’amore. Avevamo entrambi problemi con il bere. Pensavo che amarci ci avrebbe salvati».
Parla anche degli anni più bui, quelli delle dipendenze e dei tentativi di farla finita: «Mi stavo uccidendo da sola. Non avevo più Mike, né Richard. Mi imbottivo di farmaci. Ho tentato due volte di togliermi la vita, prima di capire che non dovevo più bere. Mai più».
Poi si addolcisce: racconta dei figli, dei nipoti, del piacere di essere diventata bisnonna.
L’intervista si chiude con un sorriso e una sola parola. Elizabeth guarda Paolo, e con la sua voce da eterna diva dice semplicemente: «Baciami».
Un frammento di questa preziosissima intervista è stato trasmesso nel 2017 da Techetechete’, in occasione della scomparsa di Paolo. L’avevo registrato, per fortuna, prima che sparisse da RaiPlay.
Qui ne trovate un estratto presente su youtube.
 SANDRA DEE
Un’altra ospite internazionale che invece si è seduta nel salotto di Paolo, è Sandra Dee, che in quell’occasione rivede Gina Lollobrigida, con cui aveva recitato nel film Torna a settembre.
Durante l’intervista, Sandra ripercorre l’inizio della sua storia con Bobby Darin, conosciuto proprio su quel set. All’inizio non le piaceva affatto: arrivava in ritardo, sembrava scostante, quasi maleducato. Poi, una sera, la invita a cena. Al termine, la convince a fare un giro in carrozza per le vie di Roma. Si addormenta sulle sue ginocchia, sfinito. Ed è lì che qualcosa cambia: Sandra si intenerisce. Comincia a guardarlo con occhi diversi.
Si fidanzano mentre stanno ancora girando. C’è una scena, racconta, in cui lei deve respingerlo con uno schiaffo. Ma non riesce a renderla credibile. Proprio quella sera litigano. Il giorno dopo, lo schiaffo viene perfetto. Sandra lo racconta ridendo, con leggerezza: un piccolo aneddoto che dice molto sull’amore, anche nei suoi inciampi.
Ricorda anche Lana Turner, durante le riprese di Lo specchio della vita. A Paolo confida alcuni degli insegnamenti che le ha lasciato. È un passaggio rapido, ma carico di gratitudine.
Su youtube si trovano le 4 parti dell'intervista (QUI
 
ALIDA VALLI
Uno degli incontri più delicati e intensi mai andati in onda. Basta il suo volto, la voce pacata, la tenerezza con cui, ogni tanto, le dita sfiorano il viso di Paolo, quasi per orientarsi nel buio per la vist che la stava abbandonando.
Purtroppo Alida Valli aveva perso del tutto la vista dall’occhio sinistro, e anche il destro cominciava a cedere. Ma la sua presenza era piena, lucida, dolce. Mai un accenno di vittimismo, solo una compostezza profonda, che si rifletteva in ogni gesto.
Parla di Hollywood, del viaggio per girare Il caso Paradine con Hitchcock, e dell’incontro con Charles Laughton e Gregory Peck. Di quest’ultimo ricorda che in Italia non fosse ancora molto conosciuto, ma già allora – dice – avesse quell’eleganza naturale che lo avrebbe reso indimenticabile.
Parte 1 
Parte 2
 

TIPPI HEDREN
La Hedren è stata ospite di Paolo più volte, dagli anni Novanta fino a un’indimenticabile intervista nell’estate del 2012. In ogni incontro, portava con sé quella combinazione rara di grazia e determinazione che la rende unica. (QUI trovate la puntata, lei è al minuto 06) 
Racconta il momento in cui la sua vita cambia per sempre: da modella a protagonista de Gli uccelli, dopo essere stata notata da Hitchcock in uno spot pubblicitario. Al termine del provino, lui le regala una spilla con tre uccelli: un segno che sarebbe stata la protagonista del suo prossimo film.
Il racconto di quell’epoca è intenso, complesso. L’ammirazione per il genio di Hitchcock si intreccia alla consapevolezza dolorosa di un rapporto segnato da pressioni psicologiche. Nonostante il successo, Tippi non ha mai nascosto quanto fosse stato difficile quel periodo.
Ma Paolo non si ferma lì. Con la sua sensibilità, la accompagna anche nel racconto del suo impegno umanitario e animalista. Tippi parla della Shambala Preserve, il santuario californiano dove accoglie leoni, tigri e felini esotici provenienti da circhi e set cinematografici. Un altro tipo di palco, in cui ha saputo reinventarsi. È qui che nel 2000 si celebrano le nozze tra Paolo Limiti e Justine Mattera.
 
LAUREN BACALL
 
Quando alla fine degli anni Novanta Lauren Bacall arriva in Italia per partecipare al programma, la Rai le mette a disposizione una Bentley bianca. Un gesto sontuoso, certo, ma c’è un piccolo dettaglio che la produzione ignora: Lauren detesta le Bentley. Soprattutto se bianche.
L’autista l’aspetta per mezz’ora sotto l’albergo, finché lei scende e, con garbo, si scusa: “Oh, mi spiace, non mi avevano avvertita.” Pare che le chiamate siano partite eccome, ma chi ha un appuntamento con il proprio riflesso sa quanto conti prepararsi con calma. E poi, una diva non ha fretta: entra in scena quando è il momento giusto.
All’arrivo negli studi Rai, un altro imprevisto: sul contratto c’è scritto il suo nome anagrafico, Betty Joan Perske, e non il nome con cui il mondo la conosce. Lauren lo nota subito e fa notare, con la fermezza di chi ha attraversato mezzo secolo di carriera, che quel nome d’arte è parte della sua identità.
Paolo, con il suo tono che mescola autorevolezza e leggerezza, la rassicura:  “Capisco, ma siamo in Italia… Questi dettagli a volte ci sfuggono. Se vuoi, firmi e andiamo in scena. Altrimenti racconto tutto io al pubblico e mando in onda un tuo filmato.” Lauren sorride, gli manda un bacio, entra in studio e dice, con la sua voce inconfondibile:  “Sono felice di essere qui.” E non era una frase di circostanza. In Paolo aveva riconosciuto qualcuno capace di starle di fronte senza timori né adulazione. Non cercava la diva, ma la donna dietro lo sguardo magnetico e la voce profonda. Forse è proprio per questo che anche le personalità più forti con lui abbassavano le difese. 

Anche gli spettacoli dal vivo erano per Paolo un’occasione per mostrare quella sua sensibilità speciale, capace di lasciare il segno. Durante un evento a Lugano, ha come ospite Harry Belafonte. Passano ore a parlare – di cinema, di America, di vita – insieme all’addetta stampa dell’artista.
La mattina dopo, Belafonte gli chiede qual è il suo posto preferito a New York. Paolo risponde: “Central Park in autunno”. (Anch’io, se mai qualcuno me lo chiedesse.)
Qualche mese dopo, riceve un pacco da New York. Dentro, le foglie rosse e gialle del parco. Nessun biglietto, solo quel gesto. Discreto, poetico, indimenticabile.
 
Hollywood Noir
Tra i momenti che più ho amato nei programmi di Paolo, ci sono senza dubbio gli speciali dedicati alle morti misteriose delle star hollywoodiane.
Li ho scoperti nell’estate del 2012, durante la messa in onda di E… state con noi in TV, ma poi, cercando e scavando come sempre mi capita quando qualcosa mi appassiona, ho scoperto che ne aveva realizzati anche nelle stagioni precedenti, sempre all’interno dei suoi programmi.
Non erano semplici servizi: erano ricostruzioni accurate, emozionanti, quasi cinematografiche, in cui Paolo intrecciava cronaca, storia del cinema e rispetto umano.
Non c’era mai morbosità. Non c’era mai retorica. Solo una narrazione limpida, dettagliata, a tratti struggente, che riusciva a restituire dignità e voce anche alle storie più oscure.
  • La Dalia Nera, un noir reale e irrisolto, raccontato come una detective story elegante (QUI al minuto 37 e QUI al minuto 37.05).
  • Lana Turner e l’omicidio del suo amante, il gangster Johnny Stampanato (QUI al minuto 51 e QUI al minuto 50).
  • Marilyn Monroe in cui ha ricostruito le sue ultime ore grazie a documenti che sono stati divulgati solo di recente. (QUI al minuto 22.12 e QUI al minuto 27.20)
  • Natalie Wood e la sua scomparsa al largo dell’isola di Santa Catalina. (QUI al minuto 28)
  • Lupe Vélez, la tragica fine della sputafuoco messicana (QUI)
Raccontare un film
Tra le tante cose che rendevano uniche le trasmissioni di Paolo Limiti, una mi ha colpita più di tutte: il modo in cui raccontava i film. Non li trattava mai come semplici titoli da ricordare, ma come creature vive, dense di storia, emozione, dettagli dimenticati. Ogni pellicola era, per lui, un mondo da riaprire con cura.
Raccontava il contesto in cui il film era nato, le ragioni dietro certe scelte di cast, gli imprevisti sul set, l’accoglienza della critica. Ma non era solo informazione: era magia. Un racconto che andava oltre il cosa, e arrivava al come e al perché.
C’era sempre quel mix che cerco anch’io, ogni giorno, quando provo a scrivere di cinema: la precisione dei fatti intrecciata al calore del racconto. Paolo aveva un dono raro: far parlare i film come se li conoscesse personalmente, come se fossero amici di vecchia data.
Vi lascio alcuni estratti per farvi sentire (o risentire) i suoi aneddoti su questi film:
  • Rebecca, la prima moglie: QUI al minuto 36.43
  • Come eravamo QUI al minuto 20
  • Pal Joey QUI al minuto 46.43
  • Viale del tramonto QUI al minuto 36.15
Aveva una collezione sconfinata di film, libri, riviste, memorabilia tra cui le bambole con i costumi più famosi del cinema. Quando nel 2016 uscì una sua intervista corredata da foto della sua immensa libreria l’ho conservata e aiutandomi con la lente di Sherlock Holmes e perdendoci le poche diottrie che mi sono rimaste, mi sono appuntata tutti i titoli che sono riuscita a capire con l'obiettivo di arrivare, prima o poi, ad averne una simile anch’io.


Siamo arrivati alla fine di questo viaggio. Ricostruire la storia di Paolo Limiti non è stato facile: ha richiesto tempo, pazienza, qualche deviazione e moltissime ricerche. Ma è il tipo di fatica che si affronta volentieri, quando si ha la sensazione di rincorrere qualcosa che vale la pena.

Paolo mi è mancato spesso, mentre scrivevo. Mi sarebbe piaciuto chiedergli, ascoltare la sua versione, incrociare le mie scoperte con i suoi ricordi. Invece ho potuto solo camminare all’indietro, seguendo le tracce che ha lasciato. 

E poi c’è quella sensazione che fa un po’ male in silenzio: l’idea che un uomo come lui, con quella cultura, quella misura, quella capacità rara di far risuonare la memoria, sia stato lasciato andare troppo in fretta. Come se con la sua morte nel 2017 fosse sparito tutto insieme a lui (come le piattaforme che non ospitano le sue trasmissioni). Ma non davvero finito tutto con lui. E scrivere questo è anche un modo per ricordarlo, e per dirgli – nel mio modo – che no, io non l’ho dimenticato.

Oggi, a dieci anni dall’inizio di questo blog – che in fondo è nato anche un po’ per grazie a lui – sento che questo era il momento giusto per raccontarlo. E nel mio piccolo, continuerò a farlo: a tenere accesa quella fiamma che lui per primo ha acceso in tanti.
 
Grazie Paolo. 
Per ogni racconto, ogni scoperta, ogni sorriso. E per aver fatto entrare Hollywood nel nostro salotto con la delicatezza di chi bussa prima di entrare. 

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