Pomi d’ottone e manici di scopa ha volato più lontano di quanto pensassero
lunedì, ottobre 06, 2025Da piccola avevo una videocassetta della collana Canta con noi, non so se ve la ricordate.
La Disney, negli anni ’90, aveva creato queste selezioni di scene musicali tratte dai suoi classici, con il testo in sovrimpressione per imparare le canzoni. Quella che avevo io si chiamava "Vola e va", un titolo che prometteva viaggi sulle ali della fantasia. Dopo Peter Pan e Dumbo, ad un certo punto parte una canzone che non avevo mai sentito, si intitola Negli abissi del mar.
E sullo schermo compare un letto d’ottone sul fondo dell’oceano, con Angela Lansbury e l’attore che faceva il papà in Mary Poppins. Un’immagine talmente bizzarra e affascinante che mi ha completamente rapita.
La Disney, negli anni ’90, aveva creato queste selezioni di scene musicali tratte dai suoi classici, con il testo in sovrimpressione per imparare le canzoni. Quella che avevo io si chiamava "Vola e va", un titolo che prometteva viaggi sulle ali della fantasia. Dopo Peter Pan e Dumbo, ad un certo punto parte una canzone che non avevo mai sentito, si intitola Negli abissi del mar.
E sullo schermo compare un letto d’ottone sul fondo dell’oceano, con Angela Lansbury e l’attore che faceva il papà in Mary Poppins. Un’immagine talmente bizzarra e affascinante che mi ha completamente rapita.
Scoperto il titolo del film, Pomi d’ottone e manici di scopa, chiedo ai miei di comprarmelo. E da quel momento è amore. Nel giro di pochi anni, ho letteralmente consumato la videocassetta. Mi ha conquistata soprattutto dal punto di vista sonoro.
Le musiche dei fratelli Sherman sono indimenticabili, certo. Ma la vera magia, per me, sta nel doppiaggio italiano, che in questo film raggiunge un livello altissimo. Lydia Simoneschi e Giuseppe Rinaldi, due mostri sacri, danno voce ai protagonisti con una naturalezza e una musicalità uniche. E accanto a loro, tre giovani doppiatori che sarebbero diventati nomi fondamentali del doppiaggio contemporaneo: Emanuela Rossi, Loris Loddi e Riccardo Rossi.
Le musiche dei fratelli Sherman sono indimenticabili, certo. Ma la vera magia, per me, sta nel doppiaggio italiano, che in questo film raggiunge un livello altissimo. Lydia Simoneschi e Giuseppe Rinaldi, due mostri sacri, danno voce ai protagonisti con una naturalezza e una musicalità uniche. E accanto a loro, tre giovani doppiatori che sarebbero diventati nomi fondamentali del doppiaggio contemporaneo: Emanuela Rossi, Loris Loddi e Riccardo Rossi.
Per anni ho pensato di conoscere questo film in ogni dettaglio. Ma nel 2004, quando ho acquistato il DVD, è arrivata la sorpresa: venti minuti in più. Scene tagliate, canzoni intere, sequenze mai viste prima. Un tesoro nascosto che oggi, voglio condividere con voi. Anche perché dietro a quel recupero c’è stato un lavoro enorme, e merita di essere raccontato per filo e per segno.
Questo film, però, merita di essere riscoperto anche per la straordinaria resilienza dei suoi protagonisti.
Angela Lansbury, poco dopo la fine delle riprese, ha vissuto due traumi terribili: suo figlio in fin di vita e la casa distrutta. Il 1970 è stato per lei uno degli anni più duri della sua esistenza, eppure sullo schermo riesce a regalarci una delle sue interpretazioni più leggere, affettuose, luminose.
E poi c’è la Disney, proprio in un momento di passaggio. Walt Disney aveva creduto profondamente in questo progetto, ma non ha fatto in tempo a vederlo portato a termine. Suo fratello Roy morirà una settimana dopo l’uscita del film senza vederne il successo. Il film vincerà l’Oscar per gli effetti speciali, spingendo la sperimentazione Disney ancora oltre Mary Poppins.
Ecco perché oggi voglio portarvi dietro le quinte. Per raccontarvi cosa c’è sotto la superficie, quali magie nascoste hanno reso questo film così unico, e quali storie si sono intrecciate alla sua realizzazione. Perché se pensate di conoscerlo, aspettate. C’è molto, molto di più.
Il titolo originale è Bedknobs and broomsticks ed è un film del 1971 diretto da Robert Stevenson con Angela Lansbury e David Tomlinson.
La trama in breve: Durante la seconda guerra mondiale in un paesino inglese la signorina Eglantine Price deve accogliere in casa tre fratelli Charlie, Paul e Carrie, sfuggiti ai bombardamenti di Londra. I giovani sfollati non tardano a scoprire che la loro ospite è una apprendista strega, che segue un corso per corrispondenza ed Eglantine, dopo le prime titubanze, li mette al corrente dei suoi progressi. Improvvisamente il corso per corrispondenza viene interrotto e i quattro si precipitano a Londra, a bordo di un letto magico, per scoprire il perchè: trovano il signor Emelius Brown, il docente, che ha perduto una parte del libro da cui traeva le sue lezioni, e tutti insieme si danno da fare per cercarlo.
All’inizio degli anni Settanta, l’America vive un passaggio di testimone tra due anime: da un lato l’ottimismo ostinato degli anni ’50, con famiglie perfette e fiducia nel progresso; dall’altro, il fermento culturale dei ’60, fatto di rivoluzioni giovanili, sogni psichedelici e un nuovo bisogno di libertà.
Il 1970 non è ancora il decennio disilluso che verrà, ma qualcosa sta cambiando. La guerra in Vietnam continua, i movimenti sociali si fanno più complessi, e la televisione inizia a occupare un ruolo centrale nelle case. Ma il cinema resta un luogo di evasione condivisa, capace ancora di far sognare.
Anche l’industria è in trasformazione. I grandi studios faticano a seguire i gusti di un pubblico più esigente e frammentato. Sta nascendo la New Hollywood, con registi giovani, linguaggi nuovi e storie personali. Ma nel 1970, il cambiamento è ancora agli inizi: convivono film audaci e produzioni tradizionali, e il cinema familiare ha ancora spazio.
Per la Disney è un momento delicato. Dopo la morte di Walt nel 1966, lo studio cerca una nuova direzione. C’è il peso della sua eredità, intrattenimento per tutti, senza spigoli, ma anche l’urgenza di evolversi. In questo contesto, i film live action, ibridi tra realtà e animazione, musical e avventura, diventano un vero laboratorio creativo.
La trama in breve: Durante la seconda guerra mondiale in un paesino inglese la signorina Eglantine Price deve accogliere in casa tre fratelli Charlie, Paul e Carrie, sfuggiti ai bombardamenti di Londra. I giovani sfollati non tardano a scoprire che la loro ospite è una apprendista strega, che segue un corso per corrispondenza ed Eglantine, dopo le prime titubanze, li mette al corrente dei suoi progressi. Improvvisamente il corso per corrispondenza viene interrotto e i quattro si precipitano a Londra, a bordo di un letto magico, per scoprire il perchè: trovano il signor Emelius Brown, il docente, che ha perduto una parte del libro da cui traeva le sue lezioni, e tutti insieme si danno da fare per cercarlo.
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Alcune scene del film |
All’inizio degli anni Settanta, l’America vive un passaggio di testimone tra due anime: da un lato l’ottimismo ostinato degli anni ’50, con famiglie perfette e fiducia nel progresso; dall’altro, il fermento culturale dei ’60, fatto di rivoluzioni giovanili, sogni psichedelici e un nuovo bisogno di libertà.
Il 1970 non è ancora il decennio disilluso che verrà, ma qualcosa sta cambiando. La guerra in Vietnam continua, i movimenti sociali si fanno più complessi, e la televisione inizia a occupare un ruolo centrale nelle case. Ma il cinema resta un luogo di evasione condivisa, capace ancora di far sognare.
Anche l’industria è in trasformazione. I grandi studios faticano a seguire i gusti di un pubblico più esigente e frammentato. Sta nascendo la New Hollywood, con registi giovani, linguaggi nuovi e storie personali. Ma nel 1970, il cambiamento è ancora agli inizi: convivono film audaci e produzioni tradizionali, e il cinema familiare ha ancora spazio.
Per la Disney è un momento delicato. Dopo la morte di Walt nel 1966, lo studio cerca una nuova direzione. C’è il peso della sua eredità, intrattenimento per tutti, senza spigoli, ma anche l’urgenza di evolversi. In questo contesto, i film live action, ibridi tra realtà e animazione, musical e avventura, diventano un vero laboratorio creativo.
L'origine della storia
Tutto comincia in Inghilterra, in un momento in cui la magia sembra più necessaria che mai. Siamo negli anni della Seconda guerra mondiale: città oscurate, bambini evacuati, famiglie separate. Eppure, tra le macerie e la paura, resiste l’immaginazione.
Mary Norton, nata a Londra nei primi del Novecento, lavora prima in libreria, poi al Ministero della Guerra, e infine approda negli Stati Uniti, dove inizia a scrivere. Nel 1943 pubblica Il magico pomo d'ottone, o come diventare una strga in 10 facili lezioni, con protagonista Miss Price, un’apprendista strega che regala a tre bambini un pomo magico capace di far volare il letto ovunque: Londra, il mare, villaggi incantati. Una storia leggera, ironica, con l’assurdo tipicamente britannico. La guerra resta sullo sfondo, ma è proprio per questo che il viaggio diventa evasione e libertà.
Mary Norton, nata a Londra nei primi del Novecento, lavora prima in libreria, poi al Ministero della Guerra, e infine approda negli Stati Uniti, dove inizia a scrivere. Nel 1943 pubblica Il magico pomo d'ottone, o come diventare una strga in 10 facili lezioni, con protagonista Miss Price, un’apprendista strega che regala a tre bambini un pomo magico capace di far volare il letto ovunque: Londra, il mare, villaggi incantati. Una storia leggera, ironica, con l’assurdo tipicamente britannico. La guerra resta sullo sfondo, ma è proprio per questo che il viaggio diventa evasione e libertà.
Nel 1945 il libro arriva anche in America, e Walt Disney, sempre attento ai romanzi inglesi per ragazzi, ne acquista i diritti. La trattativa per Mary Poppins è ancora in stallo, e questo diventa il suo “piano B”. Quando nel 1947 Norton pubblica il seguito, Falò e manici di scopa, con l’introduzione di Emelius e nuove avventure, la base per un film diventa più solida. I due libri vengono poi riuniti in un volume unico nel 1957: Pomi d'ottone e manici di scopa.
Eppure il progetto resta fermo. Ha tutto: magia, bambini, ambientazione inglese, una donna forte al centro. Ma il destino di Pomi d’ottone e manici di scopa è legato a doppio filo con Mary Poppins. Finché quella trattativa resta aperta, la Disney non si sbilancia.
Solo nei primi anni Sessanta, quando P.L. Travers accetta finalmente di volare a Burbank per ascoltare la proposta dello studio, Mary Poppins prende forma. E Pomi d’ottone resta sullo sfondo. Lo studio lo segue, ci lavora a fasi alterne, ma aspetta.
Eppure il progetto resta fermo. Ha tutto: magia, bambini, ambientazione inglese, una donna forte al centro. Ma il destino di Pomi d’ottone e manici di scopa è legato a doppio filo con Mary Poppins. Finché quella trattativa resta aperta, la Disney non si sbilancia.
Solo nei primi anni Sessanta, quando P.L. Travers accetta finalmente di volare a Burbank per ascoltare la proposta dello studio, Mary Poppins prende forma. E Pomi d’ottone resta sullo sfondo. Lo studio lo segue, ci lavora a fasi alterne, ma aspetta.
Poi, nel 1964, Mary Poppins esce. E il successo è enorme.
A quel punto, più che un’alternativa, Pomi d'ottone e manici di scopa rischia di sembrare una copia. Troppo simile. Troppo ravvicinata. E, forse, troppo difficile da sostenere al confronto.
Quando Walt Disney muore nel dicembre 1966, il progetto viene congelato.
Ma nel 1969 qualcosa si riaccende.
In un momento in cui lo studio ha bisogno di rilanciarsi senza tradire se stesso, Pomi d’ottone e manici di scopa torna sul tavolo.
Il produttore Bill Walsh, figura centrale nel successo di Mary Poppins, ne riprende le redini. Affida la regia a Robert Stevenson, la sceneggiatura a Don Da Gradi, gli stessi con cui ha collaborato per Mary Poppins, e riunisce un team familiare, affidabile.
Tornano anche i fratelli Sherman. Sono loro ad aver tenuto vivo il progetto nei suoi anni dormienti. Hanno scritto qualche canzone, testato melodie, immaginato scene e numeri musicali, anche quando non era chiaro se il film si sarebbe mai fatto.
Quando Walt Disney muore nel dicembre 1966, il progetto viene congelato.
Ma nel 1969 qualcosa si riaccende.
In un momento in cui lo studio ha bisogno di rilanciarsi senza tradire se stesso, Pomi d’ottone e manici di scopa torna sul tavolo.
Il produttore Bill Walsh, figura centrale nel successo di Mary Poppins, ne riprende le redini. Affida la regia a Robert Stevenson, la sceneggiatura a Don Da Gradi, gli stessi con cui ha collaborato per Mary Poppins, e riunisce un team familiare, affidabile.
Tornano anche i fratelli Sherman. Sono loro ad aver tenuto vivo il progetto nei suoi anni dormienti. Hanno scritto qualche canzone, testato melodie, immaginato scene e numeri musicali, anche quando non era chiaro se il film si sarebbe mai fatto.
Adesso devono riprendere in mano tutto quel materiale e trasformarlo in una colonna sonora coesa, originale, e degna del paragone inevitabile con il loro stesso capolavoro precedente.
Un’impresa tutt’altro che semplice, ma di questo vi parlerò meglio più avanti.
Un’impresa tutt’altro che semplice, ma di questo vi parlerò meglio più avanti.
Ora bisogna solo trovare la protagonista perfetta.
Una donna che sappia reggere il peso della magia, della commedia, del canto, della tenerezza e, quando serve, della lotta contro un manipolo di nazisti. Non è una sfida semplice. La prima scelta è ovvia: Julie Andrews. Reduce dallo straordinario successo di Mary Poppins, è l’emblema perfetto del genere. Ma, sorprendentemente, rifiuta. Poi, qualche mese dopo, ci ripensa. Chiama gli studios e dice che vuole partecipare. Che sente di dovere tanto a Disney, e che forse è il momento giusto per restituire qualcosa.
Ma è troppo tardi. Perché nel frattempo, dopo aver brevemente considerato Lynn Redgrave e Leslie Caron, i produttori hanno già fatto la loro scelta. Angela Lansbury.
Una donna che sappia reggere il peso della magia, della commedia, del canto, della tenerezza e, quando serve, della lotta contro un manipolo di nazisti. Non è una sfida semplice. La prima scelta è ovvia: Julie Andrews. Reduce dallo straordinario successo di Mary Poppins, è l’emblema perfetto del genere. Ma, sorprendentemente, rifiuta. Poi, qualche mese dopo, ci ripensa. Chiama gli studios e dice che vuole partecipare. Che sente di dovere tanto a Disney, e che forse è il momento giusto per restituire qualcosa.
Ma è troppo tardi. Perché nel frattempo, dopo aver brevemente considerato Lynn Redgrave e Leslie Caron, i produttori hanno già fatto la loro scelta. Angela Lansbury.
Reduce da uno strepitoso successo a Broadway con Mame, Angela ha già vinto due Tony Award ed è considerata una vera regina del palcoscenico.
Ma al cinema, finora, non ha mai avuto ruoli da protagonista. Anzi, la sua carriera sul grande schermo è stata costellata quasi esclusivamente da personaggi secondari, spesso molto più anziani della sua età reale.
E dire che il debutto era stato col botto. Nel 1944, appena diciottenne, viene scritturata dalla MGM per Gaslight Angoscia, dove recita accanto a Ingrid Bergman e Charles Boyer. Il ruolo della domestica insolente le vale una nomination all’Oscar come miglior attrice non protagonista.
Ne seguono altri due: per Il ritratto di Dorian Gray (1945) e Va' e uccidi (1962), dove è così convincente da far dimenticare che ha appena trentasette anni e interpreta la madre di un Laurence Harvey trentenne. Ma per anni, Hollywood la relega in ruoli da caratterista. È la sorella, la zia, la madre arcigna, l’antagonista elegante. Mai la protagonista vera.
Ma al cinema, finora, non ha mai avuto ruoli da protagonista. Anzi, la sua carriera sul grande schermo è stata costellata quasi esclusivamente da personaggi secondari, spesso molto più anziani della sua età reale.
E dire che il debutto era stato col botto. Nel 1944, appena diciottenne, viene scritturata dalla MGM per Gaslight Angoscia, dove recita accanto a Ingrid Bergman e Charles Boyer. Il ruolo della domestica insolente le vale una nomination all’Oscar come miglior attrice non protagonista.
Ne seguono altri due: per Il ritratto di Dorian Gray (1945) e Va' e uccidi (1962), dove è così convincente da far dimenticare che ha appena trentasette anni e interpreta la madre di un Laurence Harvey trentenne. Ma per anni, Hollywood la relega in ruoli da caratterista. È la sorella, la zia, la madre arcigna, l’antagonista elegante. Mai la protagonista vera.
A teatro però tutto cambia. Sulla scena, Angela si libera. Canta, balla, si trasforma. “Il palcoscenico è stato più generoso con me del cinema,” dirà in seguito.
Ma ora la Disney le offre qualcosa di raro: un film costruito intorno a lei. Un ruolo che mescola la sua ironia naturale, la sua grazia, e la sua capacità di diventare credibile anche quando cavalca una scopa.
Il film è ambientato in Inghilterra nel 1940, in piena Seconda guerra mondiale. E per Angela, quell’atmosfera non è soltanto scenografia: è memoria viva. Lei quegli anni li ha vissuti davvero. È cresciuta a Londra, e quando iniziano i bombardamenti del Blitz, nel 1940, ha quindici anni. Non è più una bambina, ma una ragazza già grande abbastanza per sentire il peso della paura e per percepire la gravità del momento. In quel periodo, migliaia di bambini vengono evacuati nelle campagne inglesi. Angela avrebbe potuto essere una di loro, ma sua madre, l’attrice Moyna MacGill, sceglie invece di tenerla con sé. Pochi mesi dopo si trasferiscono in America, cercando un luogo più sicuro dove ricostruire una vita. Anni dopo, leggendo il copione di Pomi d’ottone e manici di scopa, Angela riconosce qualcosa di intimo in quei bambini costretti a lasciare casa, in quella donna sola che si aggrappa alla magia per proteggere almeno un pezzetto del mondo.
Eglantine non è solo un personaggio da fiaba. È una sopravvissuta, come lo è Angela.
Una donna che, nel mezzo del caos, continua a cercare bellezza e senso.
Il film è ambientato in Inghilterra nel 1940, in piena Seconda guerra mondiale. E per Angela, quell’atmosfera non è soltanto scenografia: è memoria viva. Lei quegli anni li ha vissuti davvero. È cresciuta a Londra, e quando iniziano i bombardamenti del Blitz, nel 1940, ha quindici anni. Non è più una bambina, ma una ragazza già grande abbastanza per sentire il peso della paura e per percepire la gravità del momento. In quel periodo, migliaia di bambini vengono evacuati nelle campagne inglesi. Angela avrebbe potuto essere una di loro, ma sua madre, l’attrice Moyna MacGill, sceglie invece di tenerla con sé. Pochi mesi dopo si trasferiscono in America, cercando un luogo più sicuro dove ricostruire una vita. Anni dopo, leggendo il copione di Pomi d’ottone e manici di scopa, Angela riconosce qualcosa di intimo in quei bambini costretti a lasciare casa, in quella donna sola che si aggrappa alla magia per proteggere almeno un pezzetto del mondo.
Eglantine non è solo un personaggio da fiaba. È una sopravvissuta, come lo è Angela.
Una donna che, nel mezzo del caos, continua a cercare bellezza e senso.
Ma se nel film vola su un letto magico, nella vita vera, proprio in quel momento, Angela sta per perdere ogni punto d’appoggio. Sul set è impeccabile. Professionale, presente, sempre elegante. Ma dietro quel sorriso, qualcosa si sta spezzando. Nell’ombra, i suoi figli stanno precipitando.
La figlia Deirdre si è avvicinata a un ambiente pericoloso, frequentando ragazzi legati al giro di Charles Manson. Il figlio Anthony, appena diciottenne, è entrato in una spirale oscura fatta di droghe, bugie e disperazione.
Già ai tempi di Mame, mentre lei trionfa a Broadway, Anthony la raggiunge in camerino per chiederle soldi. Angela glieli dà, per amore e per paura. Perché teme che, se non lo aiutasse lei, lui quei soldi li troverebbe comunque in modi pericolosi. E intanto spera, con tutta sé stessa, di riuscire prima o poi a strapparlo alla dipendenza.
Durante le riprese di Pomi d’ottone e manici di scopa, Angela tiene tutto sotto controllo. Sorride, lavora, canta, ma dentro di sé sente che il terreno le sta franando sotto i piedi.
Alla fine del film, il crollo è inevitabile. Anthony non è più il ragazzo alto e robusto che conosceva. È l’ombra di se stesso: pesa appena 55 chili. Una notte, una folle corsa in ambulanza lo porta d’urgenza in ospedale. Il ragazzo è in coma per un’overdose. Miracolosamente si salva.
Ma il destino non ha ancora finito di abbattersi su Angela e la sua famiglia. Per quell’anno ha in serbo un ultimo colpo, più brutale e inatteso.
È l’autunno del 1970 quando un incendio gigantesco divampa a Malibu e nella costa californiana. Le fiamme scendono dai pendii come serpenti incandescenti, divorano colline, giardini, case. Non fanno distinzioni tra ville di star del cinema e abitazioni modeste.
La loro villa in stile giapponese, un rifugio costruito con amore, arredato con tatami, oggetti d’arte orientale, un giardino con carpe koi e un piccolo stagno, viene circondata dal fuoco in poche ore.
Le fiamme bruciano tutto. Le lettere, i diari, le fotografie, i premi, i ricordi di una vita.
Angela prova l’impossibile. Prende due schedari metallici, pieni di documenti preziosi, e li immerge nello stagno del giardino pensando che l’acqua li proteggerà. È un gesto istintivo, disperato.
Ma quando il fuoco si ritira, il contenuto è ridotto in cenere.
“Abbiamo perso l’intero contenuto della casa,” racconterà più tardi, “comprese tutte le mie lettere, i diari, le foto e i ricordi di ogni film che avevo fatto.”
Per mesi dovrà ricostruire documenti, certificati, persino i passaporti dei figli. Qualcosa riesce a salvarsi solo grazie alla generosità degli altri. “Furono tutti molto gentili,” dirà con gratitudine, “fecero fare delle copie di tutti i premi che avevo vinto.”
In un anno solo, Angela perde quasi tutto: la salute del figlio, la sicurezza della casa, i ricordi di una vita.
È l’autunno del 1970 quando un incendio gigantesco divampa a Malibu e nella costa californiana. Le fiamme scendono dai pendii come serpenti incandescenti, divorano colline, giardini, case. Non fanno distinzioni tra ville di star del cinema e abitazioni modeste.
La loro villa in stile giapponese, un rifugio costruito con amore, arredato con tatami, oggetti d’arte orientale, un giardino con carpe koi e un piccolo stagno, viene circondata dal fuoco in poche ore.
Le fiamme bruciano tutto. Le lettere, i diari, le fotografie, i premi, i ricordi di una vita.
Angela prova l’impossibile. Prende due schedari metallici, pieni di documenti preziosi, e li immerge nello stagno del giardino pensando che l’acqua li proteggerà. È un gesto istintivo, disperato.
Ma quando il fuoco si ritira, il contenuto è ridotto in cenere.
“Abbiamo perso l’intero contenuto della casa,” racconterà più tardi, “comprese tutte le mie lettere, i diari, le foto e i ricordi di ogni film che avevo fatto.”
Per mesi dovrà ricostruire documenti, certificati, persino i passaporti dei figli. Qualcosa riesce a salvarsi solo grazie alla generosità degli altri. “Furono tutti molto gentili,” dirà con gratitudine, “fecero fare delle copie di tutti i premi che avevo vinto.”
In un anno solo, Angela perde quasi tutto: la salute del figlio, la sicurezza della casa, i ricordi di una vita.
Trovata la strega, serve ora un mago. Uno un po’ fanfarone, un po’ goffo, con il cuore buono nascosto sotto il panciotto. Il personaggio di Emelius Browne, illusionista da fiera che finisce per combattere i nazisti a colpi di magia, aveva bisogno di una presenza scenica che bilanciasse leggerezza e calore, ironia e un tocco di malinconia.
Tra i candidati ci sono Ron Moody e Sir Peter Ustinov. Moody però rifiuta, chiedendo di avere il primo nome nei titoli di testa.
La produzione non accetta, e così la parte va a David Tomlinson, già amatissimo dal pubblico Disney per il ruolo dell’austero ma adorabile Mr. Banks in Mary Poppins. E in fondo, chi meglio di lui?
Tomlinson ha la faccia da gentiluomo inglese, la voce da commedia sofisticata, e il tempismo comico perfetto. E poi, come dirà lui stesso con una delle sue battute migliori: “Ottenni la parte di Emelius Browne perché ero l’unico attore che riuscivano a trovare capace di cantare sott’acqua.” Nato a Henley-on-Thames, in Oxfordshire, nel 1917, cresce in una famiglia borghese: il padre è un noto avvocato londinese, la madre una donna colta e determinata. Dopo gli studi entra per sedici mesi nei Grenadier Guards, e poi lavora brevemente alla Shell come impiegato. Il teatro, però, lo chiama presto.
Dai primi ruoli amatoriali approda al cinema con Quiet Wedding nel 1940, ma la sua carriera viene interrotta dallo scoppio della Seconda guerra mondiale. Diventa ufficiale della RAF, vola in Canada per addestrarsi, e poi lavora come istruttore di volo in Inghilterra, mentre continua a recitare quando possibile.
Tomlinson diventa un volto familiare per il grande pubblico con The Wooden Horse (1950), ma è con la Disney che entra definitivamente nella storia. Dopo Mary Poppins, è lo spietato e divertente antagonista di Un maggiolino tutto matto.
Dai primi ruoli amatoriali approda al cinema con Quiet Wedding nel 1940, ma la sua carriera viene interrotta dallo scoppio della Seconda guerra mondiale. Diventa ufficiale della RAF, vola in Canada per addestrarsi, e poi lavora come istruttore di volo in Inghilterra, mentre continua a recitare quando possibile.
Tomlinson diventa un volto familiare per il grande pubblico con The Wooden Horse (1950), ma è con la Disney che entra definitivamente nella storia. Dopo Mary Poppins, è lo spietato e divertente antagonista di Un maggiolino tutto matto.
Quello che il pubblico non sa è che, mentre girava Pomi d’ottone, David affrontava anche una sfida personale dolorosa e poco visibile.
Padre di quattro figli, uno di loro, il piccolo Willie, è affetto da autismo. In un’epoca in cui questa condizione è ancora poco conosciuta e stigmatizzata, David non si limita a cercare aiuto per sé.
Usa la propria popolarità per fare la differenza. Partecipa a raccolte fondi, fa appelli in TV, sostiene le prime associazioni per la tutela dei bambini autistici. È un impegno costante, discreto ma determinato.
Una forma di magia, anche questa, nel mondo reale. Nel 2000, David Tomlinson si spegne serenamente. Due anni dopo, la Disney lo inserisce ufficialmente tra le sue Disney Legends.
Quando Pomi d’ottone e manici di scopa esce nelle sale, nei titoli appare anche Roddy McDowall, niente meno che come terzo nome del cast. Ma per chi guarda il film, la sua presenza è quasi impercettibile. Eppure, Roddy non è certo un volto sconosciuto.
Padre di quattro figli, uno di loro, il piccolo Willie, è affetto da autismo. In un’epoca in cui questa condizione è ancora poco conosciuta e stigmatizzata, David non si limita a cercare aiuto per sé.
Usa la propria popolarità per fare la differenza. Partecipa a raccolte fondi, fa appelli in TV, sostiene le prime associazioni per la tutela dei bambini autistici. È un impegno costante, discreto ma determinato.
Una forma di magia, anche questa, nel mondo reale. Nel 2000, David Tomlinson si spegne serenamente. Due anni dopo, la Disney lo inserisce ufficialmente tra le sue Disney Legends.
Quando Pomi d’ottone e manici di scopa esce nelle sale, nei titoli appare anche Roddy McDowall, niente meno che come terzo nome del cast. Ma per chi guarda il film, la sua presenza è quasi impercettibile. Eppure, Roddy non è certo un volto sconosciuto.
Attore bambino amatissimo, poi caratterista elegante e versatile, nel 1970 è all’apice della carriera: reduce da ruoli iconici nella saga de Il pianeta delle scimmie, accetta questo piccolo ruolo probabilmente per affetto verso la Disney, con cui aveva già lavorato in F.B.I. – Operazione gatto!.
Qui interpreta il reverendo Jelk, il vicario del villaggio, un personaggio secondario ma originariamente pensato con più spazio e una sottotrama tutta sua.
Nelle scene che sono state poi eliminate, Jelk tenta goffamente di sposare Miss Price per interesse, più attratto dalla sua proprietà che da lei. Una vena comica che però in fase di montaggio viene completamente eliminata, lasciando nel film solo pochi secondi del suo personaggio.
Una beffa? Forse. Ma Roddy la prende con stile. Non si lamenta, non fa drammi. E anni dopo, quando la Disney decide di restaurare il film e reintegrare le scene perdute, torna in studio insieme ad Angela Lansbury per ridoppiare le battute tagliate.
Tra i personaggi secondari più vividi ce n’è uno che, con il suo bastone sempre pronto e l’aria da sergente del villaggio, riesce a lasciare il segno anche in pochi minuti: è Jessie Hobday, la postina e presidente del Comitato Attività Belliche di Pepperinge Eye. A interpretarla è Tessie O’Shea, un’autentica forza della natura.
Qui interpreta il reverendo Jelk, il vicario del villaggio, un personaggio secondario ma originariamente pensato con più spazio e una sottotrama tutta sua.
Nelle scene che sono state poi eliminate, Jelk tenta goffamente di sposare Miss Price per interesse, più attratto dalla sua proprietà che da lei. Una vena comica che però in fase di montaggio viene completamente eliminata, lasciando nel film solo pochi secondi del suo personaggio.
Una beffa? Forse. Ma Roddy la prende con stile. Non si lamenta, non fa drammi. E anni dopo, quando la Disney decide di restaurare il film e reintegrare le scene perdute, torna in studio insieme ad Angela Lansbury per ridoppiare le battute tagliate.
Tra i personaggi secondari più vividi ce n’è uno che, con il suo bastone sempre pronto e l’aria da sergente del villaggio, riesce a lasciare il segno anche in pochi minuti: è Jessie Hobday, la postina e presidente del Comitato Attività Belliche di Pepperinge Eye. A interpretarla è Tessie O’Shea, un’autentica forza della natura.
Il pubblico britannico la conosce da sempre come La meraviglia del Galles. Nata al 61 di Plantagenet Street, a Riverside (Cardiff), da una famiglia di origine irlandese, Tessie si esibisce sul palco già a sei anni. La sua prima “fama” arriva quasi per caso: un giorno, da bambina, si perde durante una vacanza a Weston-super-Mare. Nessuno riesce a trovarla finché sua madre non sente una vocina squillante intonare una canzone da music hall. Era lei.
Negli anni ’30, mentre si esibisce a Blackpool, sceglie come sigla la canzone Two Ton Tessie from Tennessee (ironizzando sulla propria struttura fisica non proprio minuta, la Tessie da 2 tonnellate del Tennessee). Con la sua stazza imponente e un’energia incontenibile, Tessie conquista il pubblico grazie alla sua comicità fisica, alla voce potente e a una presenza scenica che non ha bisogno di presentazioni.
Negli anni ’40 e ’50, Tessie O’Shea è una star del palcoscenico e della canzone, acclamata al London Palladium e oltre. Nel 1963 conquista Broadway con il musical The Girl Who Came to Supper, vincendo un Tony Award per il ruolo di Ada Cockle. Appare anche al The Ed Sullivan Show, nella storica puntata del 1964 insieme ai Beatles. Lavora in televisione con The Entertainers e ottiene una nomination agli Emmy nel 1968. Ma è nel 1970, volando in Vietnam per esibirsi per i soldati americani, che mostra il suo lato più generoso e umano. In Pomi d’ottone e manici di scopa, il suo ruolo è breve ma memorabile: una postina tosta e irresistibile. Continua a lavorare in TV fino agli ultimi anni e muore nel 2005, ricordata dalla BBC con un documentario affettuoso: Two Ton Tessie!.
Nel film Swinburne è un losco individuo dal sorriso largo e dalla parlantina affilata, che accompagna i protagonisti nel cuore del mercato di Portobello Road. È il classico “spiv” britannico: un tipo furbo, vestito in modo appariscente, sempre pronto a venderti qualcosa che non ti serve. Figure ambigue e affascinanti, nate tra le pieghe del dopoguerra e sopravvissute tra mercato nero e commedia popolare. Un ruolo perfetto per chi di palcoscenici ne ha visti tanti.
A interpretarlo è Bruce Forsyth, leggenda dell’intrattenimento inglese.
Negli anni ’30, mentre si esibisce a Blackpool, sceglie come sigla la canzone Two Ton Tessie from Tennessee (ironizzando sulla propria struttura fisica non proprio minuta, la Tessie da 2 tonnellate del Tennessee). Con la sua stazza imponente e un’energia incontenibile, Tessie conquista il pubblico grazie alla sua comicità fisica, alla voce potente e a una presenza scenica che non ha bisogno di presentazioni.
Negli anni ’40 e ’50, Tessie O’Shea è una star del palcoscenico e della canzone, acclamata al London Palladium e oltre. Nel 1963 conquista Broadway con il musical The Girl Who Came to Supper, vincendo un Tony Award per il ruolo di Ada Cockle. Appare anche al The Ed Sullivan Show, nella storica puntata del 1964 insieme ai Beatles. Lavora in televisione con The Entertainers e ottiene una nomination agli Emmy nel 1968. Ma è nel 1970, volando in Vietnam per esibirsi per i soldati americani, che mostra il suo lato più generoso e umano. In Pomi d’ottone e manici di scopa, il suo ruolo è breve ma memorabile: una postina tosta e irresistibile. Continua a lavorare in TV fino agli ultimi anni e muore nel 2005, ricordata dalla BBC con un documentario affettuoso: Two Ton Tessie!.
Nel film Swinburne è un losco individuo dal sorriso largo e dalla parlantina affilata, che accompagna i protagonisti nel cuore del mercato di Portobello Road. È il classico “spiv” britannico: un tipo furbo, vestito in modo appariscente, sempre pronto a venderti qualcosa che non ti serve. Figure ambigue e affascinanti, nate tra le pieghe del dopoguerra e sopravvissute tra mercato nero e commedia popolare. Un ruolo perfetto per chi di palcoscenici ne ha visti tanti.
A interpretarlo è Bruce Forsyth, leggenda dell’intrattenimento inglese.
La sua carriera comincia prestissimo: già ragazzino si esibisce nei music-hall come Boy Bruce, the Mighty Atom, tra gag, danza e banjolele. Il successo nazionale arriva negli anni Cinquanta con Sunday Night at the London Palladium. Da allora, diventa volto fisso della TV britannica, amatissimo per il suo umorismo e la celebre battuta d’apertura: “Nice to see you, to see you… NICE!”, con cui il pubblico rispondeva in coro.
Conduce per decenni i quiz più popolari, come The Generation Game, Play Your Cards Right e The Price Is Right , la versione inglese del nostro Ok, il prezzo è giusto. Ma è più di un conduttore: è un vero performer, con mimica, voce e presenza scenica. Tra i suoi gesti iconici, la posa da “Pensatore”, ispirata a Rodin, usata con ironia nei suoi sketch.
Nel 2004, già ultra-settantenne, accetta di condurre Strictly Come Dancing, la versione originale di Dancing with the Stars. Ancora una volta conquista il pubblico con energia, ironia e balli improvvisati.
Proprio in quegli anni, la Disney lo coinvolge per un piccolo ruolo in Pomi d’ottone e manici di scopa. Forse per gioco, forse per amore del mestiere, Bruce accetta. E, anche in pochi minuti, lascia il segno.
Conduce per decenni i quiz più popolari, come The Generation Game, Play Your Cards Right e The Price Is Right , la versione inglese del nostro Ok, il prezzo è giusto. Ma è più di un conduttore: è un vero performer, con mimica, voce e presenza scenica. Tra i suoi gesti iconici, la posa da “Pensatore”, ispirata a Rodin, usata con ironia nei suoi sketch.
Nel 2004, già ultra-settantenne, accetta di condurre Strictly Come Dancing, la versione originale di Dancing with the Stars. Ancora una volta conquista il pubblico con energia, ironia e balli improvvisati.
Proprio in quegli anni, la Disney lo coinvolge per un piccolo ruolo in Pomi d’ottone e manici di scopa. Forse per gioco, forse per amore del mestiere, Bruce accetta. E, anche in pochi minuti, lascia il segno.
A interpretare il misterioso libraio di Portobello Road è Sam Jaffe, volto iconico del cinema classico americano. Nato a New York nel 1891 da immigrati russi, inizia come insegnante di fisica, si laurea alla Columbia e poi si dedica al teatro. Debutta al cinema in Il Granduca e la cameriera, nei panni dello zar Pietro III, con una performance intensa e inquieta.
Negli anni ’30 e ’40 diventa un caratterista di spicco: è il saggio Chang in Orizzonte perduto di Frank Capra, il geniale Doc Riedenschneider in Giungla d’asfalto di John Huston (che gli vale una nomination all’Oscar), e il patriarca Simonide in Ben-Hur. Jaffe è un vero trasformista: può essere buffo o inquietante, solenne o tenero. Lavora anche in TV, in serie come Colombo (con Janet Leigh) e Doctor Kildare.
In Pomi d’ottone e manici di scopa, il suo libraio è torvo e magnetico: poche battute, ma grande impatto. Morì nel 1984, dopo oltre cinquant’anni di carriera tra cinema, teatro e televisione.
In Pomi d’ottone e manici di scopa, il suo libraio è torvo e magnetico: poche battute, ma grande impatto. Morì nel 1984, dopo oltre cinquant’anni di carriera tra cinema, teatro e televisione.
Quando Reginald Owen appare in scena, lo si riconosce subito: occhi severi, baffoni, portamento d’altri tempi. È Sir Brian Teagler, l’ufficiale in pensione di Pepperinge Eye, interpretato con l’equilibrio perfetto tra autorità e ironia.
Nato in Inghilterra, inizia nei teatri britannici e nel cinema muto, poi si trasferisce negli Stati Uniti negli anni ’20. Debutta a Broadway nel 1924 e a Hollywood diventa una presenza costante: partecipa a decine di film negli anni ’30 e ’40, accumulando 146 crediti. Recita in La donna del giorno, Bionda platino, Il giardino segreto, e in tre film con Greta Garbo.
Il ruolo che lo consacra è quello di Ebenezer Scrooge nel A Christmas Carol del 1938, ancora oggi considerato uno dei migliori. Per la Disney è già noto come l’Ammiraglio Boom in Mary Poppins. In Pomi d’ottone, dà vita a Teagler con affetto e disciplina. Lavora fino a tarda età e muore nel 1972, poco dopo l’uscita del film, a 85 anni. Una carriera lunghissima, attraversata con eleganza e rigore.
Il ruolo che lo consacra è quello di Ebenezer Scrooge nel A Christmas Carol del 1938, ancora oggi considerato uno dei migliori. Per la Disney è già noto come l’Ammiraglio Boom in Mary Poppins. In Pomi d’ottone, dà vita a Teagler con affetto e disciplina. Lavora fino a tarda età e muore nel 1972, poco dopo l’uscita del film, a 85 anni. Una carriera lunghissima, attraversata con eleganza e rigore.
Ultimi, ma non per importanza, i tre bambini. Sono loro il cuore emotivo di Pomi d’ottone e manici di scopa, e tra questi spicca Cindy O’Callaghan, l’unica del trio a proseguire davvero nel mondo dello spettacolo.
Nata nel 1956 in Irlanda e cresciuta nel Regno Unito, ha solo 14 anni quando viene scelta per interpretare Carrie Rawlins, la sorella maggiore, più concreta e responsabile. La Disney la seleziona tra centinaia di candidate: ha il volto giusto, l’accento perfetto e una presenza scenica sorprendente per la sua età.
Quel film è il suo debutto assoluto, ma non l’ultimo. Cindy partecipa a molte produzioni televisive britanniche. Poi, una svolta radicale. Forse stanca dei set, forse ispirata dalle storie vissute sullo schermo, Cindy decide di cambiare vita. Si iscrive all’università, torna a studiare e diventa psicologa dell’infanzia. Una scelta che chiude simbolicamente il cerchio iniziato con quel film che parlava proprio di bambini, traumi e nuove famiglie.
Quanto agli altri due piccoli protagonisti, Ian Weighill e Roy Snart, interpreti dei fratelli Charlie e Paul, le loro carriere sono rimaste confinate a quel solo film. Nessun altro ruolo importante, nessuna lunga carriera. Sono rimasti per sempre quei bambini curiosi e un po’ scapestrati, con l’accento cockney e il coraggio da leoni. Forse è meglio così: come certi personaggi che si ricordano proprio perché non sono mai più riapparsi altrove.
Quel film è il suo debutto assoluto, ma non l’ultimo. Cindy partecipa a molte produzioni televisive britanniche. Poi, una svolta radicale. Forse stanca dei set, forse ispirata dalle storie vissute sullo schermo, Cindy decide di cambiare vita. Si iscrive all’università, torna a studiare e diventa psicologa dell’infanzia. Una scelta che chiude simbolicamente il cerchio iniziato con quel film che parlava proprio di bambini, traumi e nuove famiglie.
Quanto agli altri due piccoli protagonisti, Ian Weighill e Roy Snart, interpreti dei fratelli Charlie e Paul, le loro carriere sono rimaste confinate a quel solo film. Nessun altro ruolo importante, nessuna lunga carriera. Sono rimasti per sempre quei bambini curiosi e un po’ scapestrati, con l’accento cockney e il coraggio da leoni. Forse è meglio così: come certi personaggi che si ricordano proprio perché non sono mai più riapparsi altrove.
Le riprese di Pomi d’ottone e manici di scopa iniziano il 5 marzo 1970 nei Disney Studios di Burbank, California. Tutto si svolge in studio, compresa la Portobello Road ricreata fin nei minimi dettagli, con autentici carretti londinesi d’epoca. Dopo 57 giorni di ciak, il set si chiude il 10 giugno. Ma per il team non è che l’inizio: servono altri cinque mesi solo per gli effetti speciali e altrettanti per l’animazione.
C’è qualcosa di incantevole, quasi ipnotico, nel vedere quel letto fluttuare nel cielo, scivolare sulle onde o atterrare su un’isola dove animali in giacca e cravatta giocano a calcio. Ma dietro la meraviglia, c’è un lavoro tecnico meticoloso, quasi chirurgico.
Siamo negli anni ’70 e la tecnologia digitale è ancora lontana. Eppure, la Disney trova un modo per far convivere attori in carne e ossa e personaggi animati sullo stesso schermo. Come? Con un trucco che, all’epoca, sembra pura stregoneria: il sodium vapor process, o “schermo al sodio”.
Immaginate un set completamente avvolto da una luce giallo-arancio intensissima. Gli attori recitano davanti a un fondale acceso da speciali lampade al sodio. Una cinepresa modificata separa automaticamente quella luce dal resto, isolando perfettamente le figure in primo piano. È così che i protagonisti possono essere “ritagliati” con precisione e inseriti, in fase di montaggio, in qualunque scenario: l’oceano, il cielo stellato, o un mondo animato.
C’è qualcosa di incantevole, quasi ipnotico, nel vedere quel letto fluttuare nel cielo, scivolare sulle onde o atterrare su un’isola dove animali in giacca e cravatta giocano a calcio. Ma dietro la meraviglia, c’è un lavoro tecnico meticoloso, quasi chirurgico.
Siamo negli anni ’70 e la tecnologia digitale è ancora lontana. Eppure, la Disney trova un modo per far convivere attori in carne e ossa e personaggi animati sullo stesso schermo. Come? Con un trucco che, all’epoca, sembra pura stregoneria: il sodium vapor process, o “schermo al sodio”.
Immaginate un set completamente avvolto da una luce giallo-arancio intensissima. Gli attori recitano davanti a un fondale acceso da speciali lampade al sodio. Una cinepresa modificata separa automaticamente quella luce dal resto, isolando perfettamente le figure in primo piano. È così che i protagonisti possono essere “ritagliati” con precisione e inseriti, in fase di montaggio, in qualunque scenario: l’oceano, il cielo stellato, o un mondo animato.

Ecco allora Angela Lansbury che danza in fondo al mare senza nemmeno bagnarsi, o David Tomlinson che arbitra una partita tra un leone, un cinghiale e un elefante… senza avere nulla davanti a sé. Perché sì, in realtà non c’era nulla: né campi, né giocatori, né palla. Solo immaginazione. E qualche sagoma di cartone, piazzata qua e là, per aiutare gli attori a orientarsi.
Il letto volante? Era davvero sospeso da cavi, con ventilatori e fumo per simulare il vento. Ogni gesto era pianificato con righello e cronometro. Dovevi porgere la mano esattamente nel punto giusto, perché lì, mesi dopo, sarebbe comparsa la zampa di un leone animato. La scena della partita di calcio è un piccolo gioiello di slapstick.

Nessuna improvvisazione. Ogni sequenza era disegnata in storyboard fotogramma per fotogramma. Gli attori recitavano con il cronometro in mano, contando i tempi, adattando movimenti, rispettando spazi invisibili.
Un lavoro estenuante, certo, ma che ha permesso a questa storia di streghe, bambini e incantesimi di sembrare ancora oggi incredibilmente viva e credibile.
Location
Il bello del cinema, quando funziona davvero, è che riesce a ingannarti con dolcezza. Ti fa credere che quel letto voli davvero, che il cielo inglese sia sopra di te, anche se sei sotto un tetto californiano.
Pomi d’ottone e manici di scopa è stato girato quasi interamente nei Disney Studios di Burbank, in California, dove è stata ricostruita con cura maniacale la Portobello Road del 1940. Per il celebre numero musicale furono usati veri carretti d’epoca, noleggiati dalla storica ditta A. Keehn, la stessa che da oltre un secolo li forniva ai commercianti londinesi. Quei carretti, carichi di oggetti e colori, diedero realismo e anima al set.
Ma non tutto era finto.
Quando vediamo Miss Price sfrecciare sulla motocicletta tra colline nebbiose, siamo davvero in Inghilterra. Quel castello sullo sfondo è Corfe Castle, nel Dorset, al confine con Devon: suggestivo, malinconico, perfetto. Spesso usato per adattamenti da Thomas Hardy, qui diventa il cuore di Pepperinge Eye.
Pomi d’ottone e manici di scopa è stato girato quasi interamente nei Disney Studios di Burbank, in California, dove è stata ricostruita con cura maniacale la Portobello Road del 1940. Per il celebre numero musicale furono usati veri carretti d’epoca, noleggiati dalla storica ditta A. Keehn, la stessa che da oltre un secolo li forniva ai commercianti londinesi. Quei carretti, carichi di oggetti e colori, diedero realismo e anima al set.
Ma non tutto era finto.
Quando vediamo Miss Price sfrecciare sulla motocicletta tra colline nebbiose, siamo davvero in Inghilterra. Quel castello sullo sfondo è Corfe Castle, nel Dorset, al confine con Devon: suggestivo, malinconico, perfetto. Spesso usato per adattamenti da Thomas Hardy, qui diventa il cuore di Pepperinge Eye.
Le scene dello sbarco tedesco, invece, sono state girate in esterni in California. Con una fotografia sapiente e un po’ di vento, l’illusione funziona. Il resto lo fa la magia.
Per i panorami più ampi si è ricorso al matte painting: splendide vedute dipinte a mano su vetro, poi sovrapposte alle riprese reali. Così si costruivano mondi, pennellata dopo pennellata.
Per i panorami più ampi si è ricorso al matte painting: splendide vedute dipinte a mano su vetro, poi sovrapposte alle riprese reali. Così si costruivano mondi, pennellata dopo pennellata.
E nella battaglia finale contro i nazisti, c’è un dettaglio curioso: le armature medievali in scena erano autentiche, alcune già viste in Camelot (1967) ed El Cid (1961). Quando servivano armature da distruggere, venivano replicate in fibra di vetro, così da salvaguardare gli originali.
La sequenza dei titoli di testa invece è un omaggio all’Arazzo di Bayeux, un lungo telo di lino realizzato in Francia in epoca medievale che narra la storia della conquista normanna dell’Inghilterra.
Colonna sonora
Se oggi Pomi d’ottone e manici di scopa esiste, lo si deve anche, e soprattutto, a loro. Quando il progetto sembrava destinato all’oblio, sono stati i fratelli Robert e Richard Sherman a riportarlo in vita. Dopo anni di idee accantonate e bozze mai decollate, è il loro entusiasmo, e la promessa di una colonna sonora originale e travolgente, a convincere la Disney a scommettere di nuovo su questo musical dal sapore british. Sono nel pieno della maturità artistica, ma reduci da esperienze frustranti: in progetti precedenti, molte loro canzoni erano state tagliate. Stavolta vogliono creare qualcosa che abbia davvero un’anima – e che resti.
Il risultato è una partitura che attraversa l’intero film, alternando malinconia, euforia, ritmo e poesia.
Si comincia con l’Overture, che ci introduce alla tranquilla ma determinata energia della Old Home Guard, guidata dal pittoresco ufficiale interpretato da Reginald Owen. Una marcetta ironica e affettuosa che incornicia tutta la vicenda.
Poi entra lei: Angela Lansbury, voce elegante, timbro dolce ma autorevole. Con The Age of Not Believing (in italiano l'età del non mi cucchi), ci accompagna nel cuore emotivo del film: Miss Price, madre improvvisata, cerca di ricordare ai bambini – e a se stessa – quanto sia importante credere nell’impossibile.
Il risultato è una partitura che attraversa l’intero film, alternando malinconia, euforia, ritmo e poesia.
Si comincia con l’Overture, che ci introduce alla tranquilla ma determinata energia della Old Home Guard, guidata dal pittoresco ufficiale interpretato da Reginald Owen. Una marcetta ironica e affettuosa che incornicia tutta la vicenda.
Poi entra lei: Angela Lansbury, voce elegante, timbro dolce ma autorevole. Con The Age of Not Believing (in italiano l'età del non mi cucchi), ci accompagna nel cuore emotivo del film: Miss Price, madre improvvisata, cerca di ricordare ai bambini – e a se stessa – quanto sia importante credere nell’impossibile.
Il tono cambia con With a Flair, affidata a David Tomlinson: il biglietto da visita del professor Emelius Browne, mago ciarlatano ma irresistibile, che gioca con la teatralità come un imbonitore da fiera.
Segue A Step in the Right Direction, in cui Miss Price inizia a padroneggiare la magia attiva, volando su una scopa.
Angela canta con leggerezza e grinta, in una scena che doveva diventare iconica, e che invece, come vedremo, sarà quasi del tutto tagliata nella versione finale.
Le loro voci si uniscono in Eglantine, canzone ironica e vanitosa che celebra la protagonista con affetto e humour.
Portobello Road è il cuore musicale e coreografico del film: un numero corale, multiculturale, che intreccia stili e lingue in un caleidoscopio di colori e suoni.
Tomlinson guida il pubblico tra venditori, danzatori e suonatori come un maestro di cerimonie.
Tomlinson guida il pubblico tra venditori, danzatori e suonatori come un maestro di cerimonie.
A seguire, la più breve Portobello Street Dance, affidata al corpo di ballo.
Poi arriva la magia: The Beautiful Briny (Negli abissi del mar), il valzer sottomarino che ha fatto innamorare generazioni.
Tomlinson e Lansbury, su un letto fluttuante, danzano tra pesci e onde incantate, in un momento di pura grazia.
Infine, la più esaltante: Substitutiary Locomotion, dove oggetti animati difendono il villaggio.
Una marcia crescente dove musica e magia diventano tutt’uno.
Sul set, però, le canzoni non si limitano a essere cantate: vanno costruite con precisione assoluta.
Angela Lansbury, veterana del palco, si comporta da guida silenziosa: tiene il tempo, aiuta i colleghi, porta rigore. Tomlinson, più istintivo, compensa con simpatia e impegno. Prova, ripete, non si tira indietro.
Angela Lansbury, veterana del palco, si comporta da guida silenziosa: tiene il tempo, aiuta i colleghi, porta rigore. Tomlinson, più istintivo, compensa con simpatia e impegno. Prova, ripete, non si tira indietro.
Spesso si ritrovano in studio per esercitarsi insieme, ascoltarsi, sincronizzarsi. Il loro affiatamento cresce di giorno in giorno.
Ma nulla li prepara davvero a ciò che succederà dopo le riprese: i tagli, le revisioni, i compromessi.
Ma quella, è un’altra storia. E ve la racconto tra pochissimo.
Ma quella, è un’altra storia. E ve la racconto tra pochissimo.
La première mondiale di Pomi d’ottone e manici di scopa si tiene a Londra, il 7 ottobre 1971, all’Odeon Cinema di Leicester Square, nel cuore del West End. È la prima volta nella storia che un film Disney americano viene presentato al pubblico fuori dagli Stati Uniti. Una scelta che la dice lunga sull’anima profondamente britannica di questo progetto, pensato, ambientato e girato, almeno in parte, in Inghilterra.

Per l’occasione, il foyer del cinema viene trasformato in un piccolo set incantato: una riproduzione di Miss Price sospesa in aria sul letto volante accoglie gli ospiti, insieme a una selezione di armature medievali come quelle viste nella scena finale del film. Un tocco spettacolare, che trasforma la première in un vero evento.
Angela Lansbury partecipa con eleganza, e accanto a lei c’è suo figlio Anthony. Un’immagine intensa, se si pensa che proprio pochi mesi prima il ragazzo era stato in fin di vita. La sua presenza al fianco della madre è un segnale forte, un piccolo lieto fine nella vita reale, che fa da contrappunto alla fiaba sullo schermo. Tra gli altri ospiti Vanessa Redgrave con le figlie Joely e Natasha.
La seconda première, quella statunitense, si tiene invece l’11 novembre 1971 al Radio City Music Hall di New York. Ma c’è un compromesso da accettare: per essere proiettato insieme allo spettacolo natalizio del teatro, il film doveva restare sotto le due ore. Dopo lunghe trattative, la Disney accetta di ridurre la durata a un’ora e cinquantasette minuti.
Il taglio comporta la perdita di diverse sequenze, tra cui A Step in the Right Direction e Nobody’s Problems. Scene intere eliminate, dialoghi abbreviati, canzoni ridotte o scomparse. Per i fratelli Sherman fu un colpo durissimo. Era già accaduto con Il più felice dei miliardari e Una pazza banda di famiglia, ma questa volta fu la goccia che fece traboccare il vaso. Dopo anni di collaborazione, decisero di non rinnovare il contratto con la Disney.
Il taglio comporta la perdita di diverse sequenze, tra cui A Step in the Right Direction e Nobody’s Problems. Scene intere eliminate, dialoghi abbreviati, canzoni ridotte o scomparse. Per i fratelli Sherman fu un colpo durissimo. Era già accaduto con Il più felice dei miliardari e Una pazza banda di famiglia, ma questa volta fu la goccia che fece traboccare il vaso. Dopo anni di collaborazione, decisero di non rinnovare il contratto con la Disney.
Pomi d’ottone e manici di scopa ottiene sei nomination agli Oscar: miglior colonna sonora adattata, miglior canzone originale (per The Age of Not Believing), costumi, scenografia, sonoro ed effetti speciali. Proprio in quest’ultima categoria conquista la sua unica statuetta: un premio meritato, che riconosce la raffinatezza tecnica del film e l’uso pionieristico dello schermo al sodio per fondere animazione e live action.
Il restauro
Vi ho accennato dei numerosi tagli che Pomi d’ottone e manici di scopa subì sin dall’uscita. Quel processo non solo snaturò l’artisticità originale, ma ferì gli autori e gli interpreti.
Angela Lansbury ha spesso ricordato con amarezza di quando assistette alla prima proiezione pubblica e scoprì che “A Step in the Right Direction”, la scena in cui Miss Price fa i suoi primi tentativi di volo, era scomparsa. Era un momento che aveva girato con dedizione e che considerava cruciale. Nessuno l’aveva avvisata.
Poi, la riedizione del 1979: la durata scese a 98 minuti. Sparirono The Age of Not Believing, Eglantine, The Old Home Guard, gran parte del numero Portobello Road. Il finale risultò sfilacciato e incoerente. Quella versione è quella con cui molti spettatori, me compresa, sono cresciuti.
Negli anni successivi emersero voci di un montaggio originale più lungo. Nel 1996, per il 25° anniversario, Disney avviò un restauro ufficiale sotto la guida di Scott MacQueen. Si trattò di un lavoro da detective: le scene eliminate erano sparse in archivi, negativi, bobine incomplete, spezzoni dimenticati.
Al termine del restauro si ottenne una versione da 139 minuti, molto vicina al montaggio concepito inizialmente. Tornarono With a Flair, Nobody’s Problems, parti estese di Portobello Road. Per alcune sequenze mancava l’audio: Angela Lansbury e Roddy McDowall accettarono di ridoppiare le loro battute. David Tomlinson, invece, non poteva partecipare per motivi di salute; fu chiamato un doppiatore (Jeff Bennett) per colmare gli spazi sonori.
Angela Lansbury ha spesso ricordato con amarezza di quando assistette alla prima proiezione pubblica e scoprì che “A Step in the Right Direction”, la scena in cui Miss Price fa i suoi primi tentativi di volo, era scomparsa. Era un momento che aveva girato con dedizione e che considerava cruciale. Nessuno l’aveva avvisata.
Poi, la riedizione del 1979: la durata scese a 98 minuti. Sparirono The Age of Not Believing, Eglantine, The Old Home Guard, gran parte del numero Portobello Road. Il finale risultò sfilacciato e incoerente. Quella versione è quella con cui molti spettatori, me compresa, sono cresciuti.
Negli anni successivi emersero voci di un montaggio originale più lungo. Nel 1996, per il 25° anniversario, Disney avviò un restauro ufficiale sotto la guida di Scott MacQueen. Si trattò di un lavoro da detective: le scene eliminate erano sparse in archivi, negativi, bobine incomplete, spezzoni dimenticati.
Al termine del restauro si ottenne una versione da 139 minuti, molto vicina al montaggio concepito inizialmente. Tornarono With a Flair, Nobody’s Problems, parti estese di Portobello Road. Per alcune sequenze mancava l’audio: Angela Lansbury e Roddy McDowall accettarono di ridoppiare le loro battute. David Tomlinson, invece, non poteva partecipare per motivi di salute; fu chiamato un doppiatore (Jeff Bennett) per colmare gli spazi sonori.
L’unico pezzo irreperibile rimane A Step in the Right Direction. Non fu ritrovata la pellicola: l’unica traccia è l’audio pubblicato su vinile. Nella versione restaurata non è inserita nella proiezione, ma appare come extra, su immagini fotografate di scena.
Il restauro venne presentato in anteprima nel settembre 1996 alla presenza di Lansbury, McDowall e Sherman.
Tuttavia, nell’edizione italiana del 2004, non uscì il montaggio esteso da 139 minuti: continuò a circolare la versione a 117 minuti, comunque un bellissimo regalo per chi è cresciuto con quella ridotta.
Rivedere Pomi d’ottone e manici di scopa oggi, con occhi adulti ma cuore bambino, è come aprire un vecchio baule e ritrovare un oggetto amato senza saperlo. C’è qualcosa di irripetibile in questo film: una leggerezza che non cancella la fatica, un incanto che convive con la malinconia.
Forse non ha avuto il clamore di Mary Poppins, e per anni è stato considerato un’opera minore. Ma non lo è. È un film che ha resistito ai tagli, ai silenzi, alla polvere degli archivi. Salvato dalla memoria di chi lo ha amato, e dal lavoro di chi ha voluto restituirgli la sua voce.
È la storia di un letto volante, di una donna che non voleva affezionarsi, di tre bambini che imparano a credere di nuovo. Ma anche di un’industria che cambiava, di artisti in cerca di spazio, di una Disney sospesa tra passato e futuro. E alla fine, come ogni favola che si rispetti, resta una piccola magia: il film è ancora qui, vivo, commovente. E forse oggi, più che mai, sa parlarci.
Perché sì, l’età del “non mi cucchi” arriva per tutti. Ma poi arriva una storia come questa e ti mostra che la magia non sparisce. Si nasconde, semmai. E aspetta solo che qualcuno ci creda di nuovo.
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