La voce di Gualtiero De Angelis: l'uomo dietro gli eroi del cinema

domenica, ottobre 26, 2025

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Celentano in una canzone diceva "L’emozione non ha voce". Sapete cosa penso? Se invece l'avesse avuta, sarebbe stata quella di Gualtiero De Angelis.

Ci sono storie che non vai a cercare. Sono loro che, in qualche modo, trovano te.  La volta scorsa era stata Erica, nipote di Lydia Simoneschi, a imbattersi in un mio video: una scena con Ginger Rogers, doppiata proprio da sua nonna.  Ci siamo scritte, ci siamo raccontate, ed è nato un viaggio bellissimo. Un tributo a una voce femminile tra le più grandi del nostro doppiaggio.
E indovinate? È successo di nuovo. 

Era il 30 aprile. Avevo appena pubblicato un reel con una scena divertentissima da Sciarada: Cary Grant, nel suo immancabile completo elegante, si butta sotto la doccia, facendo ridere Audrey Hepburn.
La battuta è fulminante: sono le istruzioni di lavaggio dell'abito che lo consigliano.
Il tutto reso ancora più brillante dalla voce italiana che lo ha caratterizzato in quasi tutti i suoi film: Gualtiero De Angelis.
Poco dopo, mi arriva la notifica: il video è stato ripostato da Eleonora De Angelis. Penso a una coincidenza, magari è solo qualcuno con lo stesso nome. Poi mi rendo conto che è proprio lei: la doppiatrice che conosco grazie a Friends – la voce italiana di Jennifer Aniston – nipote di Gualtiero e figlia di Manlio De Angelis.
Così le scrivo per ringraziarla. E le dico che, se mai avesse piacere, per me sarebbe un onore scrivere un articolo su suo nonno, come avevo fatto da poco per Lydia Simoneschi.
Eleonora mi risponde con entusiasmo, e con una disponibilità di quelle che sono così tanto rare oggi.
Inizia a condividere qualche ricordo personale, ma mi spiega che Gualtiero è mancato quando lei aveva solo 13 anni, e che non ha aneddoti diretti legati al lavoro o sul suo passato più lontano.
Ma poi tira fuori due assi dalla manica. Mi propone di parlare con sua zia Paola, figlia di Gualtiero.
E con Michele Gammino, attore e doppiatore, che ha lavorato con lui e che lo considera un esempio, un maestro, un affetto sincero. Ed è così che è iniziato questo nuovo viaggio, fatto di voci, memorie e di una figura che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del cinema. Anche se, come spesso accade, lo ha fatto nell’ombra.

Radici 

Mercoledì 22 novembre 1899. A Roma si celebra la Festa degli Alberi: cortei di studenti, bandiere, alberi piantati per insegnare ai più giovani il rispetto per la natura. Un’iniziativa presa in prestito dall’America, pensata per contrastare il disboscamento e coltivare senso civico.
Se vi state chiedendo come faccio a saperlo, e cosa c’entra con il nostro protagonista, vi rispondo subito. La mia curiosità mi ha portata a fare una piccola follia: acquistare una copia originale del Messaggero uscito proprio quel giorno, solo per scoprire cosa accadeva a Roma quel mercoledì di fine novembre, quando l’Ottocento si preparava a passare il testimone al Novecento. Lo stesso mercoledì in cui, lì a Roma, nasceva Gualtiero De Angelis.

 

I suoi genitori si chiamano Vincenzo De Angelis e Anna Serafini. Hanno già una figlia di nome Ida a cui si aggiungerà la piccola Clelia qualche tempo dopo.
Lui è un avvocato, stimato e appassionato di cultura; lei, di origini umbre, ha un carattere austero e in famiglia la chiamano Nanna. È lei a incarnare il rigore, la regola. Lui, invece, lascia un’impronta più sfumata, fatta di intelligenza e sensibilità. Gualtiero cresce in una Roma che cambia.


Suo padre, Vincenzo, spera che segua studi classici, magari una carriera “di testa” come la sua. Ma Gualtiero ha un’indole più concreta, uno sguardo già rivolto al mondo reale. Così sceglie un’altra direzione e si diploma all’Istituto Tecnico.
Prima che possa immaginare davvero il futuro, però, arriva la Prima Guerra Mondiale. Viene chiamato a prestare servizio militare — e sessant’anni dopo riceverà l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto.


Accanto alla scuola e agli obblighi, però, si fa strada anche un’altra passione. Una fiamma che si accende quasi per caso, ma non si spegne più. Tutto comincia nel gruppo amatoriale del teatro della parrocchia di San Giuseppe al Trionfale, dove sale per la prima volta su un palcoscenico. Un’esperienza semplice, ma che lascia il segno.

Ed è proprio lì che incontra Bice Chersoni, che ha un anno meno di lui, figlia di Antonio Chersoni e Colomba Consolini. Anche lei sente forte il richiamo della recitazione. Ha un temperamento moderno, vivace, deciso.

Gualtiero aveva tanti interessi. Amava la musica — suonava la chitarra, l’armonica, cantava — ma soprattutto scriveva. Poeta nell’anima, nel 1973 raccoglie alcune sue poesie in un libro intitolato Cose mie, una piccola raccolta in romanesco che ho trovato per puro colpo di fortuna su eBay.

Tra quei versi ce n’è uno che mi ha colpita subito. È dedicato al 12 ottobre, che Gualtiero paragona — con dolce ironia — alla scoperta dell’America. Solo che per lui, quel giorno, era stata la scoperta di Bice.

Capisco che si riferisce al loro anniversario di matrimonio, ma l’anno non c’è. E allora comincia la mia piccola indagine, tra registri e archivi.
Grazie al portale Antenati, trovo finalmente la conferma: Gualtiero e Bice si sono sposati il 12 ottobre 1919.

La guerra è finita da poco più di un anno. Roma è una città ferita che cerca di rialzarsi. Ed è lì, tra macerie e speranze, che Gualtiero e Bice iniziano la loro nuova vita insieme.

La famiglia presto si allarga: il 23 novembre 1920 nasce Enrico, che vent’anni più tardi fonderà — insieme a Tata Giacobetti, Felice Chiusano e Virgilio Savona — il Quartetto Cetra.
(Una piccola parentesi personale: ogni tanto, quando ho bisogno di leggerezza, mi riascolto le loro canzoni. Sono una carezza per l’anima. In un vecchio palco della Scala, Aveva un bavero, Un bacio a mezzanotte. C’è una dolcezza, un’eleganza, una gioia gentile che oggi si fa fatica a trovare.)

Poi, nel 1935, arriva Manlio — che diventerà anche lui un grande doppiatore, e padre di Eleonora — e infine, nel 1942, la più piccola: Paola.

È sempre nel 1920 che Gualtiero e Bice entrano nella compagnia di Gastone Monaldi, figura molto amata del teatro popolare romano. Con lui calcano il palcoscenico nello spettacolo Nerone, un’opera vivace e travolgente, che li vede per la prima volta insieme anche nella finzione scenica. Il teatro, che per entrambi era già una passione, comincia così a diventare anche un progetto condiviso, una strada da percorrere fianco a fianco.

 

Dopo l’esperienza con Gastone Monaldi, per Gualtiero arrivano altre tappe importanti. È nella compagnia di Ermete Zacconi che debutta come primattore giovane, accanto a un nome che, all’epoca, rappresentava un’autorità del palcoscenico. Seguono collaborazioni con le compagnie di Elsa Merlini e Italia Almirante, due tra le attrici più celebri di quegli anni. Ma è dal 1926 che il sodalizio artistico con Bice si consolida davvero: i due recitano insieme nella compagnia Carini-Glek-Falconi-Pilotto, un ensemble importante nella scena teatrale del tempo. Lì, passo dopo passo, affinano la sintonia che già avevano nella vita privata, portandola anche in scena.

Nel 1937, Gualtiero entra nella compagnia di Giulio Donadio, con cui prende parte a spettacoli come Romanzo sul mare e Processo a porte chiuse: titoli che oggi direbbero poco a molti, ma che allora rappresentavano il teatro vivo, itinerante, capace di parlare al pubblico in tutta Italia.

  


Il teatro li porta lontano: tournée in Egitto, in America, persino a bordo del piroscafo Rex, il gioiello della marina italiana che faceva sognare il pubblico non solo con la sua velocità da record, ma con i suoi interni lussuosi, le serate danzanti, gli spettacoli teatrali in mezzo all’oceano.


Ma, con una famiglia sempre più grande e il desiderio di una vita più stabile, Gualtiero decide di tentare un’altra strada…

Il doppiaggio

Roma, fine anni Trenta. Gualtiero è momentaneamente libero da impegni teatrali, quando una nuova pratica inizia a diffondersi rapidamente anche in Italia: il doppiaggio.

Alle sale della Fonoroma — una delle prime società italiane ad occuparsene — vengono convocati vari attori per fare provini. Si cercano voci capaci di sostituire quelle originali dei film americani, adattandole al gusto del pubblico italiano.
Gualtiero partecipa, quasi per caso. I primi ruoli sono piccoli, ma bastano per capire che quella nuova forma di recitazione, fatta solo di voce, può diventare il suo nuovo linguaggio.
A crederci sono Luigi Savini, direttore del doppiaggio per la Paramount, e Sandro Salvini, alla guida della sezione italiana della Columbia Pictures.
Con loro, Gualtiero lavora su alcuni dei primi titoli stranieri distribuiti in Italia: I cavalieri del Texas, in cui doppia Lloyd Nolan, L’impareggiabile Godfrey con Mischa Auer, Il paradiso delle fanciulle dove presta la voce a Ray Bolger, e Ombre rosse in cui interpreta John Carradine.
Il 1938 segna il passaggio a ruoli sempre più importanti. Tra questi c'è Errol Flynn, che doppia nel film Il principe e il povero, che segna il primo di una lunga serie di film d’avventura in cui Gualtiero diventa la voce italiana del celebre attore australiano.
De Angelis viene dal teatro. Un ambiente dove si provano a lungo le battute, si costruisce lentamente l’intensità, si rifinisce ogni gesto e ogni inflessione.
Ma in sala di doppiaggio è tutta un’altra storia. Come racconta lui stesso nel 1975, durante l’intervista con Luciano Rispoli a L’Ospite delle 2, “A teatro prepari per giorni una scena. Qui ti ritrovi in poco tempo con una scena anche molto intensa che rivedi solo tre o quattro volte. Così, a freddo, dobbiamo caricarci per ricreare quello che vediamo sull’immagine.”

Un lavoro rapido, concentrato, che richiede empatia, prontezza, controllo. Se l’attore sullo schermo è bravo, si segue fedelmente la sua interpretazione. Se invece qualcosa sembra stonare, si rivede insieme al direttore di doppiaggio, si modifica.
Ma è nel 1946 che la sua carriera prende una svolta decisiva. In quell’anno comincia il sodalizio con due dei più grandi attori di Hollywood, quelli che — come dirà lui stesso — gli hanno dato le soddisfazioni più profonde: James Stewart e Cary Grant.
Con James Stewart, l’incontro arriva in Partita d’azzardo, film del 1939 uscito in Italia proprio nel ’46.
La recitazione di Stewart è complessa e frastagliata, piena di pause, esitazioni, variazioni improvvise di tono.  Un modo di recitare unico, ma difficilissimo da seguire in sincronismo.  Gualtiero, abituato alla precisione del teatro, all’inizio lo trova quasi impossibile da rendere e confessa di aver addirittura pensato di abbandonare il doppiaggio (ve lo immaginate cosa ci saremmo persi se fosse accaduto?). Fortunatamente col tempo e la forza di volontà ha imparato a seguirne il respiro, a capirne le sfumature.
Quando gli chiedono quale attore preferisca doppiare, non ha dubbi, risponde: «James Stewart».
Ne ammira la forza drammatica, ma anche la leggerezza nella commedia. La vita è meravigliosa, Nodo alla gola, La finestra sul cortile, L’uomo che uccise Liberty Valance. Tutti film che portano la sua voce.
Negli anni Sessanta, i due si incontrano davvero. Una foto li ritrae insieme, sorridenti, in occasione di un viaggio di Stewart a Roma. Ma è grazie a un articolo del Radiocorriere del 1974 che ho scoperto una chicca: quell’incontro è avvenuto durante un’intervista radiofonica condotta da Mike Bongiorno.

 


Il primo doppiaggio di Cary Grant arriva sempre nel 1946, con La signora del venerdì, una commedia brillante del 1940 arrivata in Italia solo dopo la guerra.
È l’inizio di un connubio perfetto, destinato a durare decenni: Scandalo a Filadelfia, Notorious, Caccia al ladro, Un amore splendido, Operazione sottoveste, solo per dirne alcuni.
«Grant è un attore prettamente comico», spiega De Angelis. «Ha una recitazione lineare, pacata, e raggiunge gli effetti con una naturalezza sorprendente.» 

Nel 1951, arriva anche Dean Martin, doppiato per la prima volta in La mia amica Irma. Quando i film del duo Martin & Lewis arrivano in Italia, la scelta della voce di Dean diventa cruciale. Vengono fatti molti provini, ma è Gualtiero a conquistare la parte: da quel momento sarà la voce ufficiale di Dean Martin in tutti i film del duo. Con il suo tono morbido e ironico, diventa l’altra metà perfetta della comicità esuberante di Jerry Lewis (doppiato da Carlo Romano).

Una voce che sembrava venire dal futuro

La voce di Gualtiero De Angelis era unica nel mondo del doppiaggio. Ineguagliata. Calda, dolce, affettuosa, piena di intenzioni. Ma la sua qualità più grande era la semplicità.
Aveva un parlato naturale, di un attore che non recita, ma dice le cose che sta vivendo il suo personaggio, con autenticità.
E questo lo rendeva modernissimo. In un momento in cui il doppiaggio stava ancora nascendo, e in cui a dominare erano — con tutto il rispetto — i cosiddetti “tromboni”, cioè attori abituati al teatro, alla voce impostata, a scandire con precisione e a dosare il fiato per arrivare fino in fondo alla sala. 
Gualtiero, pur venendo anche lui dal teatro, aveva capito una cosa in più: che con un microfono bastava sussurrare. Che la voce arrivava comunque, e anzi, che proprio quel tono più misurato poteva fare la differenza. La sua voce suonava moderna, attuale, perfino in anticipo sui tempi.
Dopo la sua scomparsa, l’Unità gli dedicherà un articolo intitolato "Tacciono le voci dei film americani"
ricordandolo così: “Aveva un particolare timbro vocale, impastato di fumo, di stanchezza, di virilità letteraria.”


Ma com’era Gualtiero al lavoro?

A raccontarmelo è stato un testimone d’eccezione: Michele Gammino.
Straordinario attore e doppiatore – è lui la voce italiana di Harrison Ford, Jack Nicholson, Richard Gere – che nei primi anni Sessanta si è trovato al leggio proprio accanto a Gualtiero, e che diventerà amico fraterno di Manlio e del resto della famiglia De Angelis.


Era il suo primo turno alla società di doppiaggio CDC. Con lui, due giganti: Peppino Rinaldi per George Peppard, Gualtiero per Dean Martin.
Michele, giovane e un po’ intimorito, viene subito messo a suo agio da De Angelis che gli dice: «Mettiti dove vuoi. Noi siamo vecchi lupi, ci arrangiamo.»
Nasce così un rapporto speciale. Michele mi racconta "Quando vedevo che partecipava a dei turni io lo seguivo e mi mettevo ad ascoltarlo. Insegnava senza insegnare". Perchè Gualtiero mostrava. Non diceva mai “devi fare così”, ma “prova a pensarla così”. Era un insegnamento fatto di semplicità, dolcezza e di una naturalezza che solo l’esperienza sa trasmettere. Come un maestro, ma senza mai atteggiarsi a tale. Come uno zio che ti vuole bene.

E poi c’era quel rispetto spontaneo, che nasce quando sei giovane e ti trovi accanto a qualcuno che per te è un maestro. Michele, allora poco più che ragazzo, lo chiamava sempre “signor De Angelis”, anche se tutti ormai lo chiamavano semplicemente Gualtiero. Finché un giorno, durante una pausa in sala, con il suo romanesco brillante di una volta, Gualtiero gli dice: «A Gammì… la prossima volta che me chiami signor De Angelis… nun te chiamo più.» 

Nel corso degli anni, Gualtiero diventa anche direttore di doppiaggio. Tra i titoli curati da lui c’è, ad esempio, Il peccato di Lady Considine nella riedizione del 1976.
Ma cosa significa davvero “dirigere” un doppiaggio? È lui stesso a raccontarlo, con quella chiarezza che lo distingueva, durante la trasmissione L’Ospite delle 2 condotta da Luciano Rispoli nel 1975.

In genere, si approda a questo ruolo dopo aver maturato una certa esperienza. Il primo passo è la visione del film originale, per capire toni, dinamiche, e scegliere le voci italiane che meglio possano incarnare i personaggi. Serve istinto, sensibilità, ma anche una profonda conoscenza degli attori e delle loro sfumature.
Poi entra in gioco l’assistente al doppiaggio, che divide il film in tante piccole porzioni chiamate anelli — ognuno può durare anche meno di un minuto.
Sulla base di questi, si redige un piano di lavorazione che viene consegnato all’ufficio tecnico, dove si stabiliscono le sale, le date, i turni.
A quel punto, tutto è pronto per iniziare. Spesso gli attori entrano in sala senza aver nemmeno letto il soggetto del film. Si trovano davanti una scena — a volte molto intensa — e devono entrarci, sentirla, restituirla. Nel giro di pochi minuti. Un mestiere che non lascia tempo per pensare, ma solo per essere. E Gualtiero, anche dietro il leggio, sapeva esattamente come accompagnare chi ci passava davanti. 

In famiglia 

Anche a casa Gualtiero aveva quella stessa presenza intensa e inconfondibile che portava al leggio: un equilibrio di rigore e dolcezza, autorevolezza e affetto.
Sua figlia Paola mi ha raccontato alcuni ricordi che oggi restituiscono il ritratto privato di un padre affettuoso, dal carattere deciso e con una certa vena teatrale che non lo abbandonava nemmeno nei momenti quotidiani.
Gualtiero era più tradizionalista, mentre Bice era più moderna, anche nell’educazione dei figli. Paola mi ha raccontato che, quando capitava che Gualtiero fosse contrariato — o, come le chiamavano affettuosamente in famiglia, “le arrabbiature” — sua madre interveniva con una frase che smorzava tutto con dolcezza: «Lasciamolo stare… perché adesso recita.»
Come se il fuoco dell’arte non potesse fare a meno di riaffiorare anche nella vita quotidiana.

Paola condivide con me un altro ricordo tenerissimo: le sue amiche di scuola non vedevano l’ora di essere invitate a casa, pur di ascoltare dal vivo la voce di suo padre mentre offriva loro la merenda.
Gualtiero amava profondamente la musica: suonava la chitarra, l’armonica a bocca, cantava… e incideva tutto con il suo inseparabile registratore.


Negli anni Settanta, ha raccolto diverse sue poesie in un libro, Cose mie, una raccolta intima, scritta spesso in romanesco, che racconta emozioni, frammenti di vita quotidiana come le cure a Salsomaggiore per un dolore alle gambe della moglie, il matrimonio dei figli, gli adorati nipoti.
Paola, in occasione della nostra telefonata, mi ha letto una poesia che lei stessa ha composto pensando a suo padre e mi ha permesso di condividerla con voi. 

LI  PENZIERI
Certe sere papà mio se ne stava solo 
solo chiuso dentro lo studiolo.
Qualche volta lui cantava, poi sonava, 
riprovava e alla fine… registrava.
Ma più spesso nun fiatava e passava ore e ore
senza manco fa un rumore.
Ma nun je’mportava gnente:
usciva sempre sorridente.
Io curiosa me chiedevo “che sta a fa? Perchè nun esce?” 
Poi una volta glielo chiesi “Ma papà nun c’è la gente!
Con chi parli? Chi te sente?
“Fija mia, che me n’importa.
Ce stai tu, dietro la porta.
E perciò si me viè in mente de penzà na cosa bella
che me bussa forte dentro
io l’acchiappo e co’ la penna la riscrivo sul quaderno.
Così quando gira storta me rileggo e me consolo
nun me sento mai da solo!
Li penzieri, brutti o belli
fatte conto che so uccelli:
vanno in volo senza sosta
danno sempre na’ risposta
quando ai monti, quando al mare
sanno sempre dove andare,
quando poi ce sta l’amore sanno dà la vita al core!
… Vaje dietro, corri forte
lascia aperte le tue porte
vola, vola bimba mia 
e nun falli scappà via!

Paola ed Enrico

Questa invece era la poesia che Gualtiero ha dedicato a sua moglie e alla sua famiglia.

LA SCOPERTA

Er dodici d’Ottobbre de quell’anno,
me pare mille e quattro nove due,
Cristoforo Colombo, tutti sanno,
realizzò le aspirazioni sue.

Però che la scoperta che lui fece,
dopo quer viaggio pieno d’emozione,
je procurò... sì, onori d’ogni spece,
ma pure dispiaceri e la prigione.

Er dodici d’Ottobbre de ’n’antranno,
senza navigazione e senza noie,
come ’na pecorella senza affanno
io feci la scoperta de mi moje.

La quale cosa, cor passà dell’anni,
me procurò li frutti più satolli.
Lo scopo de la vita senza inganni:
tre fiji, tre fustoni, no tre polli.

Enrico er Dotto, e nun te fò burletta,
Manlio l’attore, che nun stà ar disotto
dell’Universitaria Paoletta,
che quanto prima te farà er gran botto.

Poi c’è Miranda, moje der Dottore,
ce stà Mariuccia, moje der seconno,
eppoi du’ stelle abbarbicate ar core
Lilletta e Susj, che m’han fatto nonno.

Da sinistra Enrico, Miranda, Mariuccia e Manlio

 Alla fine di questo video Gualtiero recita la sua poesia "Er lumetto".

Anche Eleonora De Angelis, nipote di Gualtiero e figlia di Manlio, conserva diversi ricordi del nonno. Quando lui è mancato, lei era appena 13enne — troppo presto perché potesse vederla muovere i primi passi nel doppiaggio e frequentare l'Accademia di arte drammatica.
Lo descrive come un uomo buono, generoso, presente. Quando arrivava, le sue tasche erano sempre piene di pacchetti di figurine da regalare ai nipoti, una tradizione che Eleonora ha voluto riprendere anni dopo con i suoi figli.
Aveva una passione speciale per le piante, e il suo attico a Piazzale Clodio era un vero e proprio giardino sospeso, pieno di vasi e verde curato con attenzione quasi paterna. 

Da sinistra Massimiliano e Alessandra, figli di Paola, poi Gualtiero, Vittorio ed Eleonora figli di Manlio

Del lavoro parlava poco, ma c’erano episodi a cui teneva. Uno su tutti: il fatto che Pietro Germi avesse voluto fosse proprio lui a doppiare il suo personaggio ne Il ferroviere. Un gesto di stima che Gualtiero ricordava con orgoglio.
Al contrario, soffrì molto per essere stato progressivamente lasciato ai margini, in un mondo del doppiaggio che cambiava e lasciava indietro anche grandi nomi come il suo. 

C’è però un ricordo che spicca per affetto e ironia. Siamo nei primi anni ’70 quando la Kraft decide di affidargli lo spot di una delle sue campagne più riuscite: “Cose buone dal mondo”.
Una pubblicità che, grazie a quella voce calda e autorevole, diventa un successo immediato: non era solo una frase detta bene, era la voce di Cary Grant, di James Stewart, di Errol Flynn che consigliava cosa comprare. Una voce che sapeva di fiducia, di eleganza, di avventura, e che arrivava dritta nelle case di milioni di italiani."Quando mi chiedevano chi fosse mio nonno, rispondevo: quello della pubblicità della Kraft."

 Ed ecco la poesia che Gualtiero le ha dedicato.

ELEONORA

Mentre sto sur terazzo e me riposo
scaccianno li penzieri da la mente,
lo sguardo me se posa su le piante.
E vedo in mezzo a tante
spiccà ’na rosa gialla,
che come ’na farfalla
se dondola ner vento.
Ma in sur momento, forze pe’ maggia,
la rosa nun c’è più, e ar posto suo
ce stà er visetto tuo
co’ la manina arzata in movimento
come la rosa gialla
che dondolava ar vento.

E cor vocino d’angelo che ciai,
me dici: «Ciao nonno, bai bai!»
Pe’ quarche istante resto frastronato,
te guardo e nun te tocco,
vorrei stringete ar petto e nun lo faccio;
pe’ nun sciupà l’incanto de quest’ora...
E resto lì a guardatte, Eleonora. 

Grande e piccolo schermo

Gualtiero De Angelis non è stato soltanto una presenza inconfondibile dietro al microfono: per qualche anno, tra gli anni ’30 e ’50, il suo volto ha trovato spazio anche sul grande schermo. Non ruoli da protagonista — il cinema non gli offrirà mai davvero il centro della scena — ma quei personaggi solidi, credibili, che sanno stare al loro posto e tenere in piedi una storia: poliziotti, amici fidati, uomini di passaggio ma mai di contorno.
Nel 1940 lo troviamo in Arditi civili di Domenico Gambino, accanto ad altri colleghi del doppiaggio come Michele Malaspina, Giovanna Scotto e Bruno Persa. Nello stesso anno è in Scarpe grosse di Dino Falconi, con Tina Lattanzi e Lauro Gazzolo. E poi ancora: Il piccolo re, Vento di milioni, Il segreto di Villa Paradiso.


Spesso con ruoli brevi, ma sempre misurati. Come nel 1942 in Una storia d’amore di Mario Camerini, dove interpreta un poliziotto notturno, o in Beatrice Cenci (1941), dove dà volto a Curzio. Fino ad arrivare a Vortice di Raffaello Matarazzo, nel 1953, nei panni di un ispettore di polizia.

 

Ma è solo nel 1974, dopo anni lontano dal set, che Gualtiero torna davanti alla macchina da presa. A volerlo è il regista Sandro Bolchi, per il film TV Un certo Marconi, produzione Rai in cui De Angelis interpreta — con quella sua sobrietà elegante — l'inventore Guglielmo Marconi.


Un piccolo ruolo, certo. Ma importante. Perché arriva in un momento in cui il suo nome non compariva più sui cartelloni, eppure qualcuno, ancora una volta, aveva pensato a lui. 

 
Gualtiero De Angelis si spegne il 6 giugno 1980. Ma quella voce calda, vibrante, continua a risuonare. Nei film, nelle registrazioni, nei racconti. Ma soprattutto, nelle persone.
A portarne avanti la memoria è oggi sua nipote Eleonora, che non solo ha seguito la strada del doppiaggio, ma si è fatta custode di un’eredità più ampia: quella del padre Manlio, scomparso nel 2017, del fratello Vittorio, venuto a mancare nel 2015, e dello zio Enrico, scomparso nel 2004. A loro ha dedicato il festival “Voci tra le Onde”, che ogni anno assegna i Premi De Angelis a chi lavora con la voce: attori, doppiatori, comunicatori, artisti. Un modo per dire che quella voce, quella presenza, quell’anima… non sono mai andate via.

A Eleonora, a Paola, e a Michele Gammino, che con Gualtiero ha condiviso turni in sala, poesia e amicizia, devo un grazie speciale.
Per avermi aperto con fiducia i loro ricordi, e per aver accolto — con una gentilezza rara — le domande di questa ragazza un po' caparbia, che lotta ogni giorno perché le storie che contano trovino la voce che meritano.

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