Helene Stanley: la principessa che incantò Disney e sfuggì a Hollywood

lunedì, giugno 30, 2025

Forse il suo nome non vi dice nulla: Helene Stanley.
Eppure il suo volto lo avete incontrato più volte di quanto immaginiate.
È nei gesti lievi di una ragazza che sogna un ballo a corte, nello sguardo incantato di una principessa che danza tra gli alberi, nell’eleganza sobria di una giovane donna che attraversa la Londra degli anni Sessanta.
Helene Stanley è stata la musa silenziosa che ha dato anima e corpo a tre delle eroine più amate della storia del cinema. Walt Disney l’ha scelta perché, dietro quella grazia naturale e quell’apparenza delicata, viveva un talento raro: il talento di chi sa trasformare la fantasia in realtà. Di chi fa respirare i sogni sullo schermo.
Ma la sua è anche una storia di occasioni sfiorate, di scelte che cambiano traiettorie, di svolte che passano sotto silenzio. Una giovane donna che è stata a un soffio dal diventare la nuova stella dei musical MGM. Una figura capace di attraversare la magia e le ombre di Hollywood, e di trovare il coraggio di lasciarsi alle spalle un uomo il cui nome finirà nelle cronache più oscure della città delle stelle.
Quella di Helene Stanley è una storia nascosta. Fatta di grazia dietro le quinte, di sliding doors, di resilienza silenziosa. Una storia che meritava di essere raccontata.

Una famiglia acrobatica

Dolores Diane Freymouth nasce il 17 luglio 1929 a Gary, nell’Indiana. La sua è una di quelle infanzie che sembrano uscite da un romanzo di formazione: il padre, Michael, è un celebre acrobata del gruppo europeo The Seven Michaels; la madre, Gerty Petamont, lavora come costumista e scenografa. Entrambi sono originari della Lorena, in Francia, e dal mondo del circo hanno ereditato una vita fatta di viaggi, luci mobili e palcoscenici improvvisati.
Per motivi artistici — o forse per un pizzico di vanità — il cognome di famiglia viene a volte modificato in Frerer, una versione più francese e da cartellone.
Dolores cresce parlando fluentemente francese e muovendosi tra carovane e tendoni, tra il fruscio delle tele e l’odore della segatura. Non appena impara a camminare, il padre le insegna i primi rudimenti dell’equilibrio. Lei osserva per ore gli esercizi degli acrobati, imitandoli con una naturalezza sorprendente.
Nel 1934, a soli quattro anni, conquista il suo primo riconoscimento ufficiale: in occasione dell'Esposizione Universale del Progresso, la vittoria al World’s Fair Contests of Contests di Chicago, come riportato dal Chicago Tribune:
 «Miss Dolores Diane Freymouth, 1354 Roosevelt Court di Gary, Ind., è stata dichiarata vincitrice la scorsa notte. Miss Freymouth, di 4 anni, è una ballerina acrobatica e ha ricevuto un premio di 25 dollari.»
Quel premio non segna solo un debutto precoce, ma racconta già l’equilibrio perfetto tra grazia e disciplina che definirà ogni suo passo.


Il grande schermo

Il talento di Dolores Diane non tarda a farsi notare anche oltre le piste polverose e i tendoni del circo. Il cinema, con il suo fascino di luci e ombre, le apre presto una porta: nel 1942 a soli 12 anni appare in Girl’s Town, dove canta una canzone accompagnandosi al pianoforte. Una piccola parte, certo, ma già la macchina da presa sembra volerla catturare, come se il suo volto delicato e i suoi gesti armoniosi fossero nati per lo schermo.


Poi, nel 1945, arriva una delle prime occasioni in cui il pubblico può davvero notarla a colori: in Luna senza miele, Dolores — appena sedicenne — interpreta Susan Dorsey, la figlia del leggendario Tommy Dorsey, che nel film recita se stesso.
La giovane appare in due scene che restano impresse: nella prima, siede al pianoforte, le dita leggere sulla tastiera, lo sguardo dolce e concentrato, intonando una melodia con una grazia che già richiama quella delle future principesse Disney; nella seconda, è sul palco, circondata dagli orchestrali, e il suo viso esprime l’emozione limpida e sincera di una ragazza che sogna, che si lascia trasportare dalla musica e dagli applausi.

A un passo dalla luce

Il 1946 è un anno cruciale per Dolores Diane. Un momento che ha il sapore delle sliding doors: quegli attimi sospesi, in cui il destino trattiene il fiato prima di scegliere una direzione.
La MGM l’ha appena messa sotto contratto. E come spesso accade a chi entra nella macchina dei sogni, qualcuno negli uffici dello studio le suggerisce un nuovo nome: più corto, più musicale, più facile da ricordare. Così Dolores Diane Freymouth diventa Helene Stanley.
Nei corridoi degli studi di Culver City, intanto, si respira quell’elettricità febbrile che accompagna sempre la caccia a una nuova stella.
Il grande Joe Pasternak — il produttore che aveva trasformato in icone Deanna Durbin e Kathryn Grayson — è alla ricerca di un volto giovane, una ragazza in grado di conquistare il pubblico nei musical che sogna di portare sullo schermo.
Così, in un ufficio ingombro di provini, fotografie e relazioni, due promesse giovanissime vengono messe a confronto.
Da un lato, Helen, diciassette anni appena compiuti, un viso di porcellana, capelli castano ramati, grandi occhi scuri, lineamenti gentili, il portamento elegante di chi è cresciuta tra danza e palcoscenico.
Dall’altro, Jane Powell: coetanea, sorriso fresco, capelli castano dorato, una voce da soprano che riempie la stanza fin dalla prima nota.


Entrambe hanno grazia, dolcezza, quella luminosa innocenza che Hollywood ama vendere al pubblico.
Ma se Helen incarna un’eleganza più discreta, un fascino lieve e sognante, Jane possiede uno strumento ineguagliabile: la voce.
Le opinioni divergono. La discussione si fa serrata. Si vota.
E la sorte, beffarda, decide con un solo voto: Jane Powell sarà la nuova stella dei musical MGM.
Ironia del destino, proprio nel film che lancerà Jane — Vacanze al Messico (1946) — Helene ottiene un ruolo secondario: è Yvette Baranga, figlia dell’ambasciatore francese rivale della protagonista Christine, interpretata da Jane stessa.
Sorride sul set, porta in scena la sua consueta grazia, si muove con naturalezza accanto alla ragazza che le ha soffiato il sogno. Ma dietro quel sorriso c’è una sliding door appena richiusa.

A sinistra Jane, a destra Helene

Helene, con la discrezione che l’ha sempre contraddistinta, continua a camminare.
Alla MGM, dove ha sperato di affermarsi come nuova promessa del musical, finisce troppo spesso relegata a ruoli minori. Quando si tratta di scegliere le protagoniste, il copione è sempre lo stesso: vengono preferite Vera-Ellen, Jane Powell, le favorite dello studio, mentre Helene resta sullo sfondo — lo confesserà anni dopo al Los Angeles Times.

L’energia non le manca, il talento neppure. Ma, per qualche ragione, non è mai lei il nome in cima alla lista. Qualcosa, però, sta per cambiare. Qualcuno sta per accorgersi di lei.

I sogni son desideri

Nel 1948, mentre Hollywood continua a sfornare musical e drammi sentimentali, i Walt Disney Animation Studios attraversano uno dei loro momenti più critici. Dopo il successo di Dumbo (1941), la guerra ha messo tutto in pausa: lo studio ha dovuto abbandonare temporaneamente la produzione di lungometraggi animati veri e propri e si è dedicato a progetti più economici. Nascono così film costruiti come raccolte di cortometraggi, come Musica maestro o Bongo e i tre avventurieri, oppure pellicole in presa diretta con attori umani arricchite da brevi segmenti animati, come I racconti dello zio Tom e Tanto caro al mio cuore — entrambi con protagonista Bobby Driscoll, il bambino prodigio destinato, purtroppo, a una fine tragica (ma questa è un’altra storia, che vi racconterò presto).


In questo scenario, Walt Disney ha bisogno di un miracolo. Se il reparto animazione vuole sopravvivere, serve un nuovo grande classico. Così decide di tirare fuori dal cassetto una fiaba che ha sempre amato: Cenerentola, tratta dal racconto Cendrillon di Charles Perrault.
Ma i fondi sono pochi, e ogni errore potrebbe essere fatale. Per questo, prima ancora che gli animatori inizino a disegnare, si sceglie di girare ogni scena in live action, con attori veri su un set spoglio. Non si tratta di rotoscopia, dove i disegnatori ricalcano i fotogrammi: qui si usa la tecnica della live action reference, già sperimentata su Biancaneve in forma parziale, ma mai con questa intensità. Le riprese permettono agli animatori di studiare i movimenti, decidere quali scene funzionano e quali tagliare, risparmiando tempo e denaro.
Vengono provinate centinaia di ragazze, e alla fine ad essere scelta come modella dal vivo per tutte le scene di Cenerentola è proprio la diciannovenne Helene Stanley. Con il suo portamento da ballerina, il viso gentile e i movimenti misurati, incarna perfettamente quella grazia senza tempo che Walt sta cercando. È la prima volta che il lavoro di un’attrice diventa il riferimento visivo totale per una principessa Disney. La voce sarà della cantante Ilene Woods, ma ogni gesto che vedremo sullo schermo nasce da Helene.


Per oltre un anno e mezzo, Helene lavora a stretto contatto con gli animatori, recitando in una sala di posa quasi vuota. Gli oggetti di scena sono ridotti all’essenziale: mentre rifà il letto con movimenti misurati e ritmati, in un’altra sequenza fa la doccia con gli uccellini che le strizzano un asciugamano bagnato in testa, o un'altra in cui porta tre vassoi contemporaneamente — uno addirittura in equilibrio sulla testa — salendo con grazia una semplice impalcatura in legno usata per simulare le scale del film. 

Alcuni momenti, apparentemente comici o quotidiani, richiedono invece un perfetto controllo del corpo e un’eleganza che solo una ballerina poteva offrire. I fotografi scattano immagini da più angolazioni, e gli animatori tracciano schizzi sopra le fotografie, disegnando uccellini vicino alle sue mani o topi accanto al suo grembiule. In questo modo possono studiare come una ragazza reale interagirebbe con creature immaginarie.


Helene non interpreta solo Cenerentola: in diverse sessioni recita anche nei panni di Anastasia, la sorellastra buffa, accanto a Rhoda Williams, modella e doppiatrice di Drizella. Insieme improvvisano inchini teatrali, goffi movimenti di danza e perfino la famosa scena del canto a due voci: Oh, Sing Sweet Nightingale.

 

Nella scena del ballo Helene danza con Jeffrey Stone, modello del Principe. Il set è privo di fondali, ma ogni movimento viene osservato e poi reinterpretato. Gli animatori non ricalcano mai: studiano, semplificano, esagerano, trasformano. 

 

I supervisori Marc Davis ed Eric Larson prendono ispirazione diretta dai gesti di Helene per creare movimenti che siano al tempo stesso umani e fiabeschi, capaci di trasmettere la nobiltà anche quando la principessa indossa solo stracci.

 

Quando il film esce, nel 1950, è un trionfo. Cenerentola salva Disney dalla bancarotta e apre le porte a una nuova epoca d’oro dell’animazione. Ma in un certo senso, anche Helene Stanley è stata salvata: relegata per anni a ruoli secondari, in punta di piedi è diventata l’anima segreta di un classico eterno.
Non compare nei titoli, ma il suo contributo è ovunque: nella postura elegante, nei passi leggeri, nei sorrisi sognanti.
Helene, la ragazza senza voce sullo schermo, ha parlato attraverso il corpo, con quel linguaggio universale fatto di grazia, misura, silenzio.
E così, in un momento fragile per entrambi, lei e la fiaba si sono incontrate. E si sono salvate a vicenda.

Ritorno a Hollywood

Terminato il lungo lavoro su Cenerentola, nella prima metà del 1949, Helene torna al cinema. Il primo film in cui riappare è Purificazione, noir con Glenn Ford, Evelyn Keyes e Beulah Bondi: una piccola parte, non accreditata, nel ruolo di Donna. Un'apparizione fugace, ma accanto a grandi nomi, e in un film che mescola colpa e redenzione tra le nebbie di una malinconica San Francisco.
Nel 1950 arriva Giungla d’asfalto, diretto da John Huston, uno dei noir più influenti della storia del cinema. Helene vi compare solo in una scena, all’inizio: balla con disinvoltura in una tavola calda, sullo sfondo di un mondo spietato, corrotto e maschile. 

 

È l’ultimo film che gira sotto contratto con la MGM. Dopo anni di ruoli minori, di promesse mai del tutto mantenute, Helene prende una decisione: lascia lo studio che non ha mai davvero creduto in lei e tenta una nuova strada. Passa alla 20th Century Fox.
Ma anche lì, la musica non cambia. Quando si tratta di scegliere le protagoniste dei grandi musical, i nomi sono sempre gli stessi: Betty Grable, regina incontrastata del box office, e Mitzi Gaynor, nuova favorita dal sorriso smagliante. Helene continua a lavorare, con la sua consueta disciplina silenziosa, ma resta spesso ai margini.
Nel 1952 è un volto ricorrente, anche se raramente in ruoli centra


li. In Diplomatic Courier, thriller spionistico con Tyrone Power, è una hostess di volo. In Wait Till the Sun Shines, Nellie, melodramma generazionale ambientato nel Midwest, interpreta Eadie Jordan, una giovane donna fragile e ingenua. In Matrimoni a sorpresa, film a episodi con Ginger Rogers e Marilyn Monroe, compare nel segmento con Rory Calhoun, nei panni di Mary — ma anche qui, il suo nome non figura nei titoli. Infine, in Primo peccato, commedia leggera con Clifton Webb e Ginger Rogers, interpreta Mimi: un ruolo breve ma frizzante.
Poi, sempre nel 1952, arriva per lei il momento più importante con la Fox. In Le nevi del Kilimangiaro, adattamento di un racconto di Hemingway, Helene interpreta Connie, il primo amore del protagonista, Gregory Peck. Appare nei flashback, tra luci soffuse e sguardi lontani, come simbolo di purezza perduta e nostalgia dell’innocenza. È una parte piccola, ma carica di significato: l’ideale romantico che sfuma nei ricordi.
 

Proprio in quell’anno, la rivista Photoplay le dedica un ritratto eloquente:
«Una piccola rossa dalla figura mozzafiato, capace di cantare, ballare e recitare.»
L’articolo la descrive come una veterana di ventuno anni, nel cinema fin da bambina, con esperienze alla Universal e alla MGM, e da poco uscita da un importante contratto con la Fox.
Perché sì, in un’ondata di tagli, la Fox la lascia andare. E Helene resta a metà del guado: troppo esperta per essere lanciata come un volto nuovo, troppo poco “nome” per ottenere ruoli da protagonista.


A quel punto considera seriamente l’idea di trasferirsi a New York. Si presenta a un’ultima audizione per la tournée del musical Pal Joey, nel ruolo di Vera Simpson, per sostituire Helen Gallagher. Ma qualcosa la trattiene.
Walt Disney bussa di nuovo alla sua porta.

La principessa per antonomasia

Il secondo incontro tra Helene Stanley e il mondo Disney nasce da un progetto ancora più ambizioso. Dopo il successo travolgente di Cenerentola, Walt Disney vuole superare sé stesso. Vuole creare un film d’animazione che sia anche un’opera d’arte: visivamente sontuosa, stilisticamente inedita, qualcosa che possa restare negli occhi e nel cuore come un arazzo vivente.
È così che prende forma La bella addormentata nel bosco. L’idea è in cantiere già dalla prima metà degli anni Cinquanta, ma i lavori procedono con estrema lentezza: l’animazione viene disegnata con una cura maniacale, ispirata all’arte gotica internazionale, alla pittura fiamminga, al Rinascimento. Nel frattempo, Walt è impegnato anche su altri fronti, soprattutto nella realizzazione del suo grande sogno: Disneyland.
Per la principessa Aurora, lo studio apre un lungo processo di selezione: centinaia di ragazze vengono esaminate per incarnare la nuova eroina. Ma Walt ha in mente un volto preciso. Ricorda quella giovane attrice che, senza pronunciare una sola battuta, aveva dato vita a Cenerentola con una grazia che sembrava naturale. E così, nel marzo del 1954, richiama Helene Stanley.
Helene accetta. Per circa due anni lavora a stretto contatto con il team Disney, recitando ogni scena di Aurora su un set spoglio. Tutto ciò che dovrebbe esistere — una roccia, un cespuglio, un gufo — è indicato da semplici cartelli o da sagome appoggiate sul pavimento. 

 

A volte Helene è scalza, altre indossa lunghi abiti con gonne leggere e corone di stoffa, per permettere agli animatori di studiare il movimento dei tessuti. Ogni gesto viene ripreso in cinepresa, poi visionato dagli artisti fotogramma per fotogramma.

Il suo compito non è solo camminare con grazia o inchinarsi con compostezza: deve danzare tra alberi immaginari, sognare a occhi aperti, sorridere a scoiattoli che esistono solo nei disegni. Una delle sequenze più complesse è la scena della danza nel bosco, quando Aurora balla e canta Once Upon a Dream accanto al principe Filippo. Per girarla, Helene indossa una parrucca bionda e un costume ideato da Alice Estes Davis — futura leggenda Disney — e recita con Ed Kemmer, modello del principe. Insieme provano anche il bacio finale: la scena viene girata più volte, da diverse angolazioni, per trovare il gesto più elegante, più fiabesco.

Ma Helene non dà solo corpo ad Aurora. In una delle sessioni di prova, propone un passo di danza per Merryweather, la fatina blu, nella scena in cui usa la magia per pulire casa. Un movimento rapido, allegro, che viene poi adattato dagli animatori per essere visto frontalmente, ma che conserva l’idea originale: un’energia buffa e leggera, perfetta per quel personaggio irruento e affettuoso.

Nel 1956, mentre il film è ancora in produzione, Helene viene invitata al Mickey Mouse Club, celebre programma televisivo Disney dedicato ai più giovani, che ha lanciato star come Annette Funicello e Bobby Burgess. In quella puntata speciale, Helene si presenta al pubblico come “la vera Cenerentola” e “la futura Aurora”. 

Prima recita una breve scena con i topolini, interpretati da bambini in studio.
“In un cartone come Cenerentola, non mi vedete davvero,” dice Helene con un sorriso dolce. “Io sono la Cenerentola dal vivo. Recito le scene, e poi gli artisti prendono il mio lavoro e lo trasformano in animazione.” È la prima volta che il pubblico scopre cosa si cela davvero dietro la grazia di una principessa Disney. E capisce che, sotto quei disegni, a muoversi con eleganza, è una donna in carne e ossa. Una ballerina, un’attrice. Helene Stanley.

Poi mostra alcuni movimenti base, coinvolge i giovani spettatori trasformandoli in “animaletti del bosco”, e danza con Bobby su una versione demo di Once Upon a Dream, cantata da Mary Costa, voce ufficiale della principessa.

La strada della TV

Se il grande schermo le ha chiuso una porta in faccia, Helene non si è fermata. Con la stessa grazia con cui attraversava le scene, ha saputo voltarsi e aprirne un’altra: quella del piccolo schermo. Negli stessi anni in cui presta movimenti e presenza ad Aurora, si avvicina con disinvoltura alla televisione, che negli anni Cinquanta inizia a diventare un mezzo centrale nell’immaginario americano.
Nel 1954 la troviamo in episodi di serie molto seguite, come Big Town, uno dei primi drammi giornalistici della TV, dove recita in A Date with an Angel.
Quasi in parallelo, torna a lavorare con Walt Disney in un contesto del tutto diverso: il cinema live action. In Davy Crockett, King of the Wild Frontier (1955), Helene interpreta Polly Crockett, la moglie dell’eroe incarnato da Fess Parker. È un ruolo secondario ma importante, che offre al pubblico un volto femminile gentile e silenziosamente coraggioso accanto a una figura leggendaria. Il film è parte della prima ondata Disney di lungometraggi dal vivo ispirati alla frontiera americana, e viene distribuito anche come episodio televisivo sulla ABC. Helene vi porta tutta la sua tenerezza e la sua compostezza, in contrasto con il mondo rude che la circonda.



Nel 1957, compare in un episodio di Perry Mason, e nello stesso anno prende parte a una delle sue apparizioni più rare ma preziose: Tricks of Our Trade, un documentario andato in onda nel programma antologico Disneyland. Qui appare come se stessa, presentata da Walt Disney in persona che ripercorre la sua esperienza con lo Studio, e le sue grandi doti come ballerina. La vediamo su un palcoscenico spoglio, eseguendo una breve coreografia classica per mostrare agli spettatori — e agli animatori — come nasce una scena animata. Mentre danza in abiti neutri, i disegnatori iniziano a trasformare i suoi gesti in schizzi preparatori per la sequenza della Danza delle Ore da Fantasia. È un momento rivelatore: Helene diventa ponte tra realtà e sogno, corpo e matita.

Dal min. 24.15 

E come si suol dire — non c’è due senza tre. Dopo Cenerentola e Aurora, c’è ancora spazio per una terza eroina Disney. Un personaggio moderno, ironico, sofisticato. E questa volta, non una principessa.

Una ragazza in tailleur nella Londra anni ’60

Dopo La bella addormentata nel bosco, il clima a Disney non è dei più sereni. Il film, uscito nel 1959, delude le aspettative al botteghino: l’opera visivamente magnifica, costosa e lunga da realizzare, non riesce a coprire i costi di produzione. All’interno dello studio si comincia persino a mormorare di chiudere il reparto animazione. «Non penso che potremo continuare, è troppo costoso», confiderà Walt Disney all’animatore Eric Larson. Ma nonostante le difficoltà economiche, Walt non è pronto a rinunciare all’arte che ha costruito il suo impero. L’animazione, per lui, è ancora un linguaggio d’espressione potentissimo.
Così, quando legge il romanzo The Hundred and One Dalmatians di Dodie Smith, pubblicato nel 1956, capisce subito di avere in mano una storia fresca, divertente, accessibile. Acquista immediatamente i diritti e si mette al lavoro per adattarlo in un film che, stavolta, deve essere più veloce, più snello e meno costoso. Nasce così La carica dei 101.
Nel 1960, Helene Stanley viene richiamata ancora una volta negli studi di Burbank. Walt Disney, ancora una volta, non ha dubbi: per dare corpo e grazia alla protagonista femminile di questa nuova avventura, vuole lei. E così, Helene diventa Anita Radcliffe, la gentile padrona dei cuccioli dalmata. Un personaggio diverso dalle principesse: moderna, urbana, elegante, sposata, ma con una dolcezza sempre presente nei gesti e nello sguardo. Helene indossa tailleur sobri, cappotti avvolgenti, guanti, borsette, e — come sempre — recita ogni scena su un set vuoto, con cartelli che indicano “cane”, “divano”, “camino”, su una panchina in un finto parco di Londra.

 

 

Per rendere credibili le dinamiche più teatrali del film, Walt decide di affiancare Helene a un’altra attrice straordinaria: Mary Wickes, grande caratterista del cinema classico americano, già interprete di ruoli iconici come le due infermiere in Perdutamente tua e Il signore resta a pranzo, entrambi al fianco di Bette Davis, e conosciuta dalle generazioni più recenti per Suor Maria Lazzara in Sister Act. A lei viene affidato il compito di modellare i movimenti dell’antagonista, la sfavillante e isterica Crudelia De Mon.


Marc Davis, unico animatore responsabile del personaggio di Crudelia, prende ispirazione da attrici come Bette Davis, Rosalind Russell e Tallulah Bankhead, ma anche dalla voce stessa di Betty Lou Gerson, doppiatrice originale di Crudelia, a cui ruba gli zigomi scolpiti, poi inseriti nel disegno.
Durante le sessioni, Helene e Mary provano insieme le scene: i gesti, i confronti, i momenti di tensione tra Anita e Crudelia. Non si limitano a mimare: aggiungono idee, espressioni, sfumature. Una foto di scena le ritrae mentre ricreano lo scontro più celebre: Anita resta immobile, composta, mentre Crudelia invade lo spazio con impeto, braccia larghe, corpo spinto in avanti.


Per ridurre i costi, questa volta lo studio utilizza la xerografia, una nuova tecnica che consente di trasferire direttamente i disegni originali degli animatori sulle pellicole trasparenti, i cosiddetti cels (diminutivo di “celluloid”). Fino a quel momento, ogni disegno veniva ricopiato a mano da inchiostratori e coloristi; con la xerografia, invece, si ottiene un risultato più veloce e diretto, anche se con contorni più grezzi e marcati.
Per Helene sarà l’ultimo contributo per il cinema d’animazione, ma anche il più maturo. Anita non sogna castelli né balli a corte, ma sa essere altrettanto iconica. E ancora una volta, c’è Helene dietro quel portamento discreto, quella dolcezza sobria, quella femminilità piena di grazia. 
Ma si sa: in tutte le fiabe c’è sempre un cattivo.

Una favola al contrario

Ora però dobbiamo fare un passo indietro. Perché proprio mentre, sullo schermo, Helene dà vita a principesse gentili e sognatrici, la sua storia personale prende una svolta oscura, quasi da film noir.
È il 1951. Il boss Mickey Cohen viene condannato per evasione fiscale. Il suo luogotenente, Johnny Stompanato, rimane senza protezione e cambia improvvisamente stile di vita. Si presenta come un uomo d’affari rispettabile: apre un negozio di animali, alleva pappagalli, vende mobili e auto usate. Ma sotto quella patina rispettabile, continua a muoversi con lo stesso sguardo calcolatore da gangster in attesa di tornare in pista.

Johnny Stompanato a sinistra, il boss Mickey Cohen a destra

È in questo contesto che incontra Helene Stanley, giovane attrice già con anni di esperienza sulle spalle. Johnny è affascinante, ben vestito, sempre pronto a offrire un regalo o un complimento. La corteggia con insistenza, le fa sentire che ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lei. Le promette di aiutarla a rilanciare la carriera, si propone come manager, le organizza apparizioni pubbliche, le regala un anello con zaffiro, la porta ai party più esclusivi di Hollywood. Ma dietro l’apparenza protettiva si cela ben altro.


Nel 1953 si sposano, in una cerimonia privata che non sfugge alla curiosità della stampa. Helene ha ventiquattro anni. Forse sogna una pausa dai set, una vita più stabile. Ma quel matrimonio si rivela ben presto un errore. Johnny diventa invadente, geloso, ossessivo. Controlla ogni aspetto della sua vita, dai ruoli che accetta ai vestiti che indossa. Le impone i contatti, le limita le uscite, la fa sentire inadeguata.
Inizia a sparire per notti intere, per poi tornare all’alba dicendole con freddezza:
«Dovresti essere grata che sono rientrato. Non ti porto da nessuna parte perché mi annoi.»
Durante la causa di divorzio, Helene racconta tutto davanti al giudice. Parla della sua solitudine, delle frasi umilianti, dell’ansia costante. E di un episodio che resta impresso nella memoria: Johnny cerca di strangolare sua madre solo perché ha perso un paio di suoi fazzoletti. Un gesto di violenza gratuita che rivela il volto più oscuro del marito.

In quegli stessi anni, la stampa comincia a insinuare l’esistenza di una relazione parallela tra Stompanato e Rosemary Trimble, moglie di un medico di West Los Angeles. Una relazione che — secondo voci insistenti — sarebbe proseguita anche durante il matrimonio con Helene. A sostegno dell’indiscrezione, un anello inciso con le parole “From Here To Eternity – Rosemary and Johnny”, e un conto bancario condiviso.
Nel 1955, Helene trova il coraggio di dire basta.
Chiede il divorzio e si libera da quella spirale di controllo e violenza prima che la tensione diventi ingovernabile.
Una tragedia che, in effetti, non tarda ad arrivare.
Nel 1958, Johnny Stompanato viene accoltellato dalla figlia adolescente di Lana Turner, Cheryl Crane, durante un litigio violento scoppiato nella villa dell’attrice. Il caso esplode sui giornali e sconvolge l’opinione pubblica americana. Le immagini di Lana in tribunale, il volto segnato dal dolore e dai flash, fanno il giro del mondo (questo caso ve l’ho raccontato qui).
Helene, invece, è già lontana da quel vortice. Ha voltato pagina, con un passo indietro silenzioso ma decisivo, che — forse — le ha salvato la vita.

Il suo lieto fine

Alla fine, il principe arriva davvero. Non su un cavallo bianco, ma con un camice da medico. Si chiama David Niemetz, è un professionista stimato a Beverly Hills, e con Helene condivide la stessa idea di serenità: lontana dai riflettori, fatta di rispetto, discrezione e presenza.
Nel 1959 si sposano, in una cerimonia intima, lontana dalla mondanità di Hollywood. Due anni dopo, nasce il loro unico figlio, David Jr., e Helene prende una decisione definitiva: abbandona il mondo dello spettacolo per dedicarsi completamente alla famiglia.


Non si ritira in un eremo. Continua a partecipare, con grazia e misura, a eventi benefici e iniziative legate all’ambiente cinematografico: il Motion Picture Mothers Luncheon, il Candy Cane Ball, e raccolte fondi per il Motion Picture and Television Fund. Ma lo fa sempre in punta di piedi, come ha sempre vissuto il suo mestiere: con delicatezza, eleganza e misura.
Helene Stanley si è spenta il 27 dicembre 1990, a soli 61 anni, dopo aver affrontato con dignità la sua ultima battaglia. Nessun clamore, nessun titolo a caratteri cubitali. 


Ma chi ha saputo guardare davvero, ha visto la sua impronta ovunque.
Perché ogni volta che un bambino osserva Cenerentola danzare al ballo, ogni volta che Aurora cammina a piedi nudi tra gli alberi o che Anita passeggia per Londra con la sua dalmata Peggy, è il corpo di Helene a muoversi sotto il disegno. È la sua grazia a farsi anima dell’animazione. Anche se il suo nome non compare nei titoli di testa.

Raccontare questa storia, la sua storia, ha significato molto anche per me.
Perché dietro ogni volto dimenticato del cinema classico si nasconde spesso un filo d’oro che lega talento, sacrificio e silenziosa bellezza. E quando si ha la fortuna di trovarlo, di seguirlo e di riportarlo alla luce, quel filo non brilla solo per chi legge. Brilla anche per chi scrive.
E allora sì, forse Helene Stanley non è mai stata la star in cima al cartellone. Ma nel mio piccolo firmamento di storie da ricordare, la sua luce ci sarà sempre.

ULTIMO MA NON PER IMPORTANZA
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