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C’è un film che ha tutto quello che ci si aspetterebbe da un thriller firmato Alfred Hitchcock: un omicidio misterioso, una trama giocata sull’ambiguità dell’identità, una donna in pericolo (e mai del tutto vittima), figure sinistre che la inseguono ovunque, un protagonista affascinante e sfuggente, dialoghi brillanti, una colonna sonora che si imprime nella memoria e una Parigi che è più di una semplice location: è atmosfera, eleganza, tensione.
Quel film è Sciarada. Eppure, nei titoli di testa, il nome di Hitchcock non c’è.
La regia è di Stanley Donen, maestro del musical che qui si diverte a smontare e reinventare le regole del thriller classico, mescolando suspense, ironia e raffinatezza. Sciarada è insieme omaggio e gioco: un film che finge di seguire la strada nota per poi deviare, che si nutre dei suoi riferimenti ma li piega a un tono tutto suo.
E poi ci sono loro: Audrey Hepburn e Cary Grant. L’unico film in cui hanno recitato insieme. E basta guardarli anche solo per pochi minuti per chiedersi come sia possibile che questo incontro sia avvenuto una volta sola.
Ho incontrato Sciarada da spettatrice distratta, molto prima di sapere cosa stessi guardando davvero. Ero una ragazzina, seduta davanti alla TV con Pretty Woman, quando una scena mi ha colpita all’improvviso: Vivian è sola in albergo, zapping distratto, e sullo schermo passa un film in cui Audrey Hepburn, con il suo viso da bambola intelligente e lo sguardo più incantato del solito, dice: “Oh, I love you… Peter, Alexander, Adam, Brian…”
Una sfilza di nomi pronunciati con dolcezza e ironia, tutti rivolti allo stesso uomo: Cary Grant. Non avevo idea di che film fosse, ma quella scena — straniante, elegante, misteriosa — mi si è incollata alla memoria.
Mi sembrava di aver spiato un frammento raro, un piccolo tesoro da recuperare. Quel tono leggero ma anche assurdo, quell’Audrey così diversa, mi avevano incantata. Solo anni dopo ho scoperto che quel frammento apparteneva a Sciarada. E da allora, il film ha preso il suo posto tra quei titoli che, una volta scoperti, diventano una presenza fissa.
Forse anche voi avete visto Sciarada per caso o forse l’avete sempre sentito nominare, ma non avete mai avuto l’occasione di sedervi davvero a guardarlo.
Qualunque sia il vostro punto di partenza, questo film è un piccolo labirinto elegante che merita di essere percorso: vi farà sorridere, vi terrà col fiato sospeso, vi conquisterà con il suo tono unico, capace di far convivere mistero e romanticismo, leggerezza e tensione.
Ma Sciarada non è solo un film riuscito. È anche il risultato di incastri fortunati, decisioni rischiose, cambi di rotta e intuizioni brillanti.
C’è un progetto salvato in extremis, una sceneggiatura respinta da tutti e poi contesa da sei studi, attori che hanno detto di no prima di dire di sì, riprese sotto la neve, scene improvvisate, abiti impeccabili e colpi di scena anche fuori dal set.
In questo articolo vi porto dietro le quinte di uno dei film più sofisticati degli anni Sessanta.
E la ciliegina sulla torta? Potete vedere direttamente il film, lo trovate in fondo all’articolo.
Il titolo originale è Charade ed è un film del 1963 diretto da Stanley Donen con Cary Grant e Audrey Hepburn.
La trama in breve: Durante una vacanza sulle Alpi, una giovane donna americana riflette sulla possibilità di divorziare dal marito. Ma al suo rientro a Parigi, scopre che l’uomo è stato ucciso e che tutta la sua vita sembra costruita su segreti e menzogne.
Tra misteriose identità, uomini pericolosi che la seguono, e un enigmatico sconosciuto che sembra volerla aiutare (ma forse no), la protagonista si ritrova coinvolta in una fitta rete di inganni e doppi giochi.
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Foto promozionali |
All’inizio degli anni Sessanta, il cinema americano attraversa una trasformazione silenziosa ma radicale. Il sistema degli studios, una volta granitico, perde progressivamente il suo controllo sulle produzioni. Le grandi star iniziano a gestire direttamente le proprie carriere, scegliendo con attenzione progetti, partner creativi e soprattutto luoghi: non più solo set costruiti a Hollywood, ma città reali, spazi vivi, che prestano ai film un senso di autenticità nuova.
Il pubblico, più consapevole e meno disposto ad accettare le convenzioni, comincia a riconoscere i trucchi del mestiere. Le inquadrature si fanno più dirette, i dialoghi più spigolosi, le storie meno incasellabili nei generi tradizionali. Le ambientazioni diventano personaggi, la commedia si tinge di suspense, e persino il romanticismo assume sfumature di ambiguità e ironia.
In questo contesto in bilico tra realtà e finzione, tra glamour e disincanto, si colloca la nostra storia: una storia di ombre e doppi giochi, ma anche di stile, leggerezza e seduzione. Una storia dove nulla è davvero come sembra — nemmeno l’amore.
Ci sono film che nascono da un’illuminazione creativa, altri da incontri fortuiti. Sciarada, invece, prende forma da un rifiuto. Anzi, da una lunga serie di rifiuti. Quando Peter Stone scrive la prima versione della storia, una sceneggiatura intitolata Charade, Hollywood non sa cosa farsene. Troppo brillante per essere un noir, troppo misteriosa per essere solo una commedia romantica. Troppo ibrida, troppo sfuggente. Troppo rischiosa.
A quel punto, Stone è un autore con pochi crediti e molte idee. È sua moglie Mary – insieme all’agente Robbie Lantz – a suggerirgli un’idea che lui inizialmente rifiuta con fastidio: trasformare quella sceneggiatura in un romanzo. “Non ho mai scritto un romanzo e non voglio iniziare adesso”, dice. Ma le pressioni sono tante, e alla fine si lascia convincere.
Il libro viene pubblicato a puntate sulla rivista femminile "Redbook", ma non prima di una piccola e ironica trasformazione. Il titolo Charade viene rimpiazzato da The Unsuspecting Wife, perché – secondo la redazione – per vendere bene, una storia deve contenere nel titolo almeno una di queste parole: cane, moglie, Dio, o Lincoln.
Qualcosa scatta. La storia funziona, il pubblico risponde. E nel giro di sei settimane arrivano sei offerte cinematografiche. Cinque provengono dagli stessi studi che, pochi mesi prima, avevano respinto la sceneggiatura. La sesta, la meno remunerativa, arriva da Stanley Donen.
Dopo aver rivoluzionato il musical con film come Cantando sotto la pioggia (1952) e Sette spose per sette fratelli, si è dimostrato perfettamente a suo agio anche nella commedia sofisticata e nel mélo sentimentale. Film come Cenerentola a Parigi e Indiscreto (di cui vi ho parlato qui) lo hanno consacrato come autore dallo stile riconoscibile: elegante, ironico, capace di fondere leggerezza narrativa e precisione formale. Non è un caso che, tra le varie proposte arrivate all’autore Peter Stone per adattare la sua storia, sia stato proprio Donen l’unico regista – non uno studio o un produttore – a farsi avanti direttamente.
Stone accetta l’offerta nonostante non sia la più alta, proprio per la fiducia riposta nel regista. Si incontrano a Londra il 1° aprile del 1962, e iniziano a lavorare insieme sulla sceneggiatura. Il lavoro di scrittura prosegue fino all’inizio dell’estate, con Donen che propone piccole modifiche per raffinare la dinamica dei personaggi e rendere il tono più cinematografico. È in questo momento che la Columbia Pictures, già in contatto con Donen, viene coinvolta formalmente nel progetto. Il budget previsto è ambizioso ma non esagerato, soprattutto considerando la volontà di girare realmente in Europa.
Una volta definita la base narrativa, resta da sciogliere la questione più cruciale: trovare i volti giusti per reggere l’intera costruzione. E sarà proprio in questa fase che le certezze iniziali cominceranno a vacillare.
Non veniva da un periodo particolarmente brillante, almeno dal punto di vista creativo. Paris When It Sizzles, girato a Parigi con William Holden, viene completato nel 1962, ma la Paramount decide di tenerlo fermo per quasi due anni. Il film uscirà solo dopo Sciarada, e verrà accolto con tiepido entusiasmo. Le aspettative erano alte, ma il risultato non convince né il pubblico né la critica.
Sciarada arriva così al momento giusto. Audrey trova in Reggie un personaggio che le calza a pennello: una donna colta nel caos, dallo spirito imprevedibile, che affronta il pericolo con humour e istinto, senza mai perdere compostezza. È brillante, autonoma, vestita Givenchy e sempre un passo avanti. Indimenticabile la scena in cui, mentre tutto intorno a lei precipita, mangia caramelle con nonchalance, come se fosse l’unico gesto possibile per rimanere lucida.
Nel frattempo, nella vita privata, affronta un momento di inquietudine. Mentre gira a Parigi, suo marito Mel Ferrer è sul set di La caduta dell’Impero romano a Madrid, e la stampa insinua legami sentimentali tra lui e una giovane duchessa. I paparazzi seguono ogni loro mossa, ma la coppia – com’è nella loro abitudine – non commenta nulla. Audrey si rifugia nel lavoro, protetta da un’equipe solida e da un agente, Kurt Frings, che sa far valere il suo peso anche con gli studios.
Frings le assicura un compenso di 750.000 dollari più una percentuale sugli incassi. Una mossa lungimirante, perché Sciarada si rivela il suo più grande successo commerciale fino a quel momento. Il pubblico la adora, la critica ne celebra l’ironia, la forza e la leggerezza. E Audrey conferma, ancora una volta, di essere l’unica a saper incarnare la fragilità e il coraggio con la stessa naturalezza.
Riuscite a crederci che Cary Grant, sì, proprio lui, all’inizio ha rifiutato di fare Sciarada?
Quando Stanley Donen gli invia la sceneggiatura, Grant ringrazia con gentilezza, ma declina: non gli piace, non lo convince. È più interessato a un altro progetto con Howard Hawks – Lo sport preferito dagli uomini – anche se la sceneggiatura non è ancora stata scritta. Inoltre ha già rifiutato in passato di essere l'interesse amoroso di Audrey per la differenza d'età (nel film Arianna di cui vi ho parlato qui).
La notizia ha un effetto domino. Audrey Hepburn, appena saputo del rifiuto di Grant, fa sapere che non vuole girare il film senza di lui. A quel punto, Donen cerca un’alternativa e propone alla Columbia la coppia Natalie Wood–Warren Beatty. Ma lo studio non ci crede fino in fondo: abbassa il budget da tre milioni a 2,2 e, di fatto, scarica il progetto, lasciando che la Stanley Donen Productions si sposti alla Universal.
E poi accade l’imprevisto. Una notte, il telefono della suite di Donen al Beverly Hills Hotel squilla. È Grant.
“Hai già scelto il cast?” chiede.
“No,” risponde Donen.
“Allora facciamo colazione domani?”
Grant si è ricreduto. Ha letto finalmente la sceneggiatura del film con Hawks e ha deciso che non fa per lui. “Se mi vuoi ancora, faccio Sciarada,” dice.
Ma il suo sì non è privo di condizioni. A quasi 59 anni, Grant non vuole più rincorrere donne sullo schermo: ritiene poco credibile e poco dignitoso, a quell’età, interpretare il solito ruolo dell’uomo che conquista. Quando lo sceneggiatore Peter Stone lo incontra per la prima volta nella suite dell’attore al Plaza Hotel di New York (Grant gli apre la porta in asciugamano, appena uscito dalla doccia), cominciano giorni di confronto serrato.
Grant chiede modifiche precise: è Reggie – il personaggio di Audrey – che deve prendere l’iniziativa. Lo spettatore deve avere l’impressione che sia lei a guidare il corteggiamento, non lui. Vuole anche eliminare una scena in cui, per sfuggire all’imbarazzo, si fa una doccia completamente vestito. “È ridicola,” dice. Stone alla fine cede – “Al diavolo, toglila” – ma proprio allora Grant cambia idea. “Aspetta un attimo…” È in quel momento che Stone capisce una cosa importante: Cary Grant vuole sempre avere una via d’uscita. Se una scena non funziona, deve poter dire che non l’aveva voluta lui.
Il risultato? Un film cucito perfettamente sulle sue corde, in cui mescola fascino, mistero, autoironia e classe con una naturalezza che sembra innata. Sciarada non è solo una delle sue performance più riuscite: è anche un film che abbraccia tutte le sue identità cinematografiche, senza costringerlo a inseguire nulla. È lui, semplicemente, ed è questo che lo rende irresistibile.
Se oggi siamo abituati a vederlo nei panni del burbero simpatico o del cinico disilluso dal cuore tenero, all’epoca di Sciarada Walter Matthau non aveva ancora trovato quella sua cifra comica che avrebbe fatto scuola. Era, come diceva lui stesso, «non abbastanza bello per fare il protagonista, quindi o facevo il comico o facevo il cattivo». E in effetti, in Sciarada si ritaglia un ruolo fondamentale come uno dei quattro personaggi che orbitano intorno a Audrey Hepburn con intenzioni ambigue e minacciose.
Al suo arrivo sul set parigino, Stanley Donen gli diede il benvenuto con calore: «Spero tu abbia ricevuto la sceneggiatura». Matthau, con la sua tipica schiettezza, rispose: «L’ho ricevuta. Sai qual è il problema? Dovrei essere io a interpretare la parte di Cary Grant». Donen rise… finché non si rese conto che Matthau non stava affatto scherzando. E continuò a ripeterlo anche negli anni a venire: secondo lui, il film avrebbe funzionato meglio con qualcuno che trasmettesse fatica, imperfezione, un passato segnato. «Uno con occhi piccoli, naso bulboso, uno che abbia sofferto. Uno come me». Non Cary Grant, che trovava fin troppo elegante e levigato per un ruolo così ambiguo.
Anche il suo stesso personaggio gli sembrava costruito su un “trucco tremendo”.
[Attenzione: spoiler!]
Doveva interpretare una figura con una doppia identità, e il salto da tipo svampito a assassino lo lasciava perplesso: «All’inizio mangio yogurt e fiocchi di latte, e poi all’improvviso divento un killer?». Donen cercò di rassicurarlo: «Il pubblico ci arriverà, fidati». E aveva ragione.
Nonostante tutto, Sciarada rimase per Matthau un’esperienza memorabile. Amava far ridere Audrey Hepburn con battute improvvisate e ricordava con affetto le conversazioni con Cary Grant, sempre a caccia di nuove barzellette da collezionare.
[Fine dello spoiler]
Tra i quattro inquietanti comprimari che ruotano intorno al mistero di Sciarada, spicca James Coburn: alto, affilato, con quel ghigno un po’ beffardo e lo sguardo tagliente che sembrano fatti apposta per il cinema. A inizio anni Sessanta non è ancora una star affermata, ma ha già fatto notare la sua presenza grazie al successo de I magnifici sette (1960), dove recita accanto a Steve McQueen e Yul Brynner. Hollywood ha capito che c’è qualcosa in lui: un’energia magnetica, un misto di coolness e minaccia silenziosa. Donen lo sceglie per il ruolo di Tex Panthollow, uno dei tre “soci” dell’uomo scomparso, tutti in cerca di un bottino misterioso. È un personaggio enigmatico, sempre con la sigaretta in bocca, che usa il suo fisico imponente e il tono calmo per intimorire piuttosto che per sedurre. E Coburn funziona alla perfezione: appare poco, ma ogni volta che entra in scena l’atmosfera cambia. La sua presenza è come una nuvola minacciosa su una giornata altrimenti brillante.
Per Coburn, Sciarada rappresenta un passaggio fondamentale: entra nel mondo del cinema internazionale con due mostri sacri come Grant e Hepburn, dimostrando di poter reggere la scena senza sfigurare. E da lì in poi, la sua carriera prende davvero il volo. Negli anni successivi interpreterà una lunga serie di ruoli da anti-eroe, avventuriero o uomo d’azione dall’ironia secca, costruendo un’immagine di mascolinità alternativa, più cinica e più sottile, che anticipa il cinema degli anni Settanta.
Se James Coburn porta in Sciarada l’eleganza tagliente del pistolero moderno, George Kennedy è invece la forza bruta. Il suo personaggio, Herman Scobie, è forse il più inquietante del trio che perseguita la protagonista: un uomo corpulento, violento, con un solo braccio funzionante, eppure capace di incutere terrore con una naturalezza che lascia il segno. Non a caso, è lui il protagonista di alcune delle scene più spaventose del film – compresa quella nella cabina telefonica, che oggi definiremmo un piccolo cult del thriller. All’epoca Kennedy non è ancora il volto noto che diventerà pochi anni dopo con Nick mano fredda, che gli varrà l’Oscar nel 1967. Ma Donen intuisce il potenziale: sa che ha bisogno di una presenza fisica minacciosa, ma anche di un attore capace di giocare con le sfumature, perché Sciarada non è un noir convenzionale. Serve qualcuno che possa essere spaventoso senza risultare caricaturale. E Kennedy, con il suo fisico massiccio e la voce roca, si rivela una scelta perfetta. La parte è piccola ma incisiva, e Kennedy la sfrutta al massimo. La camicia sudata, lo sguardo torvo, la camminata pesante: ogni dettaglio contribuisce a creare un personaggio che inquieta senza bisogno di grandi gesti. E la sua performance, pur essendo tra le meno parlate del film, resta impressa. Non a caso, dopo Sciarada, Hollywood inizia a offrirgli sempre più ruoli da “duro”, spesso come antagonista, ma sempre con quella patina quasi tragicomica che rende i suoi cattivi molto più umani – e memorabili.
Le riprese di Sciarada iniziano nell’ottobre del 1962 e si protraggono fino a febbraio del ’63. Il set si sposta tra Parigi e Megève, sulle Alpi francesi, dove vengono girate le sequenze dell’incontro iniziale tra i protagonisti e quella conclusiva, ambientata — almeno nella finzione — nell’ufficio del personaggio di Cary Grant. In realtà, per mancanza di un teatro di posa disponibile, Donen è costretto a girare la scena finale in un garage, con arredi e illuminazione trasportati da Parigi.
Nel frattempo, il mondo osserva col fiato sospeso la crisi dei missili di Cuba. Anche sul set, l’atmosfera si fa tesa. Ogni giorno, cast e troupe seguono i notiziari radiofonici nella mensa dello studio, preoccupati. Donen, esasperato, sbotta:
«Il mondo sta per esplodere e noi stiamo girando un film frivolo. Se saltiamo per aria, è finita. Se non succede, possiamo sempre riprendere da dove eravamo rimasti.»
Ma nonostante tutto, il clima dietro le quinte resta sorprendentemente sereno. Audrey Hepburn e Mel Ferrer vivono in un castello affittato poco fuori città, con servitù in guanti bianchi. Cary Grant risiede all’hotel Raphaël, dove viene spesso raggiunto da Dyan Cannon. Lei, nel frattempo, è impegnata in tournée nazionale con il musical How to Succeed in Business Without Really Trying, che le sta dando grande visibilità a teatro. I due passano insieme alcuni giorni durante le festività natalizie, tra momenti romantici e cene eleganti.
Il 31 dicembre del 1962 tutti si ritrovano per una cena di Capodanno a casa di Audrey e Mel. È una serata memorabile: patate al forno giganti dell’Idaho, panna acida, caviale portato da Cary in una latta gigantesca, champagne a volontà.
Due giorni dopo, Cannon fa ritorno a New York. Grant, rimasto a Parigi, approfitta di un weekend libero per volare a Bristol e visitare sua madre Elsie, che ha appena compiuto 90 anni. Riesce finalmente a convincerla a trasferirsi in una casa di cura, assicurandole che la loro abitazione resterà sempre a suo nome, nel caso volesse tornarci. Poco prima che lui parta di nuovo, Elsie gli fa una raccomandazione:
«Ti devi tingere i capelli. Sono troppo bianchi. Così non troverai mai una fidanzata adatta.» (Spoiler: 2 anni dopo sposerà proprio Dyan Cannon da cui avrà la sua unica figlia Jennifer).
La produzione, però, non fila liscia su tutti i fronti. Quando il film è quasi completato, i dirigenti della Universal manifestano alcune perplessità sul tono generale: trovano che ci siano troppi omicidi, un’ironia forse troppo esplicita nei confronti della morte (il marito della protagonista viene buttato da un treno, e poco dopo qualcuno infilza un ago nel suo cadavere per assicurarsi che sia davvero morto). Temono che il pubblico possa reagire male e propongono due versioni da testare in anteprima: una con tutte le scene violente e una “ammorbidita”. Stanley Donen e Peter Stone escogitano allora un piccolo trucco: durante la proiezione test, compilano di nascosto più schede del pubblico, per influenzare il risultato. Alla domanda “Qual è la parte che ti è piaciuta di più?”, scrivono: “Quando è violento.” E alla domanda “Come miglioreresti il film?” rispondono: “Più violenza.”
Lo rifanno anche alla seconda anteprima. Lunedì mattina, la Universal prende atto del risultato e comunica agli autori: «Avete ragione. Al pubblico piace la violenza.»
Il film resta quindi intatto, senza tagli, e proprio il suo equilibrio tra mistero, leggerezza e ironia diventerà uno degli ingredienti più apprezzati da chi lo vedrà. Sciarada, del resto, non smette mai di flirtare con i generi, e questo, più che un limite, sarà la sua fortuna.
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Foto scattate sul set |
Location
Sciarada si apre nel cuore delle Alpi francesi, precisamente a Megève, località sciistica nella regione dell’Alta Savoia. È qui che Regina Lampert (Audrey Hepburn) trascorre una breve vacanza prima di tornare a Parigi. Alcune delle prime sequenze, compresa quella con la piscina all’aperto, sono state girate all’Hôtel du Mont d'Arbois.
Una volta rientrata in città, Reggie scopre che il suo appartamento è stato completamente svuotato. L’edificio utilizzato per la scena è il 5 avenue Velasquez, nel quartiere 8 di Parigi, accanto al Parc Monceau. Oggi ospita il Musée Cernuschi, museo di arti asiatiche.
L’indagine sulla misteriosa morte del marito la conduce attraverso diversi luoghi simbolici della capitale. Il primo incontro con Peter Joshua (Cary Grant) dopo il loro ritorno a Parigi avviene al Théâtre de Guignol, situato nel Jardin des Champs-Élysées, al Rond Point. Si tratta di un teatrino di marionette ancora oggi attivo.
Quando Reggie si incontra con l’agente Bartholomew (Walter Matthau), lo fa all’ex mercato ortofrutticolo di Les Halles, ormai trasferito, ma all’epoca ancora funzionante.
Più avanti nel film, Reggie inizia a sospettare delle vere intenzioni di Peter Joshua e lo segue fino all’American Express Office in rue Scribe, vicino all’Opéra Garnier. È qui che Peter si scontra fisicamente con Scobie (George Kennedy) sul tetto dell’edificio.
Reggie e Peter si ritrovano lungo la Senna, all’altezza del Pont au Double, proprio di fronte a Notre-Dame, e riflettono su chi possa essere il vero assassino. È anche il punto in cui, ironicamente Reggie dice "Ricorda che Gene Kelly ballava lungo il fiume in Un americano a Parigi?".
L'Hôtel Saint-Jacques, dove Grant prende la famosa doccia vestito, in realtà non esiste e quello usato per le riprese è al 24 rue Censier, nel 5° arrondissement.
Il mercato dei francobolli, Carré Marigny, è lo sfondo di una scena chiave con un bambino che rivela il valore dei francobolli appartenuti al defunto marito di Reggie. L’area si trova nei pressi dell’Avenue Gabriel, non lontano dagli Champs-Élysées.
Il climax si svolge all’interno della Comédie Française, in rue
de Richelieu, teatro di Stato fondato nel XVII secolo, dove si svolge lo
scontro finale e si rivelano le identità dei personaggi.
Alcune delle sequenze notturne più tese si svolgono nella colonnata del Jardin du Palais Royal, luogo di misteriosi inseguimenti e confronti.
Costumi
È impossibile parlare di Sciarada senza soffermarsi su Hubert de Givenchy, che qui firma uno dei guardaroba più iconici del cinema anni ’60. Dopo aver definito lo stile di Audrey Hepburn negli anni ’50 con l’eleganza sognante di Sabrina e Cenerentola a Parigi, Givenchy trova in Sciarada un punto di sintesi più maturo, più urbano. La palette cromatica, tutta giocata su toni autunnali – senape, rosso scuro, arancio bruciato, beige, panna – si fonde perfettamente con la luce calda e dorata della Parigi filmata da Stanley Donen. Il risultato è un’immagine sofisticata ma accessibile, parigina ma mai caricaturale, in perfetto equilibrio tra realismo e glamour.
Nel film, i costumi non sono mai solo estetica: sono costruzione di personaggio. Regina Lampert è una vedova inconsapevole trascinata in una trama da spy-story, ma la sua immagine rimane sempre impeccabile, anche quando è in fuga o sotto interrogatorio. Il suo guardaroba è una sfilata di capi che definiscono un ideale di femminilità anni ’60: cappotti sartoriali in lana spessa, spesso in tinte vivaci come l’arancio o il senape, abiti a tubino dai tagli minimali, maniche a tre quarti, colletti ad imbuto, bottoni oversize, pillbox hats, guanti bianchi o in pelle nera, occhiali da sole oversize e kitten heels – le tipiche décolleté a basso tacco a spillo – sempre con il tocco inconfondibile di Givenchy: rigore nella linea, grazia nell’effetto.
Il film si apre sulle Alpi, dove Regina annuncia il suo imminente divorzio e incontra per la prima volta Peter Joshua (Cary Grant). Hepburn indossa un ensemble da sci perfettamente coordinato: maglione nero a maglia spessa, cappello abbinato, pantaloni e guanti marroni, occhiali da sole oversize e uno spesso strato di pelliccia marrone che la avvolge. È una mise sportiva ma elegantissima, che la distingue nettamente dal resto dei vacanzieri.
Tornata a Parigi, Reggie scopre il suo appartamento svuotato. È vestita con un cappotto di lana panna dai grandi bottoni e un cappello pillbox coordinato. Il look è completato da un foulard bianco, kitten heels chiare e orecchini di perle: l’eleganza della compostezza borghese, mentre il mondo le crolla intorno.
Per il funerale del marito – cui partecipano solo l’ispettore e tre sinistri sconosciuti – Hepburn indossa un cappotto nero di bouclé, un cappello pillbox con veletta, décolleté nere e orecchini di perle. Il trucco marcato sugli occhi rafforza il contrasto tra il lutto e l’ironia del sospetto che aleggia nella scena.
Alla sua prima visita all’ambasciata americana, Regina sfoggia un cappotto di lana rosso aranciato – quasi rosso – con martingala, maniche raglan, grandi tasche e bottoni oversize. Lo abbina a guanti neri, kitten heels nere, orecchini di perle e un cone hat leopardato: un cappello a forma conica, audace e perfettamente in tono con l’allerta narrativa.
A cena, mentre i sospetti la circondano uno dopo l’altro, Reggie indossa un abito da cocktail nero con giacca rifinita da una discreta bordatura di paillettes. Lo accompagna con guanti bianchi lunghi, kitten heels nere e i soliti orecchini di perle. Il vestito è stato battuto all'asta da Christie per 68.000 sterline.
Nel suo goffo tentativo di seguire Peter Joshua, Reggie si veste da “detective”: trench coat chiaro, foulard in testa annodato sotto il mento, occhiali scuri e grandi, stivali neri e guanti in pelle.
Poi la vediamo, in una scena al massimo della sua vulnerabilità, nella camera d'hotel con tubino panna con cintura nera in vita e scollo a barchetta.
In una passeggiata lungo la Senna, la vediamo con un altro cappotto rosso con un’aria più romantica grazie agli accessori: guanti bianchi e cappello pillbox bianco. La palette si schiarisce, sottolineando un momento più intimo con Grant.
Durante la corsa finale attraverso la città e il mercato dei francobolli, Regina indossa un cappotto senape aderente, con linea essenziale, guanti e kitten heels nere, orecchini di perle. È il look più dinamico e visivamente incisivo del film: il colore caldo fa risaltare Audrey tra la folla parigina.
Nell’ultima scena, all’ambasciata, Reggie torna vestita da signora composta: tailleur blu navy con bottoni decorativi, cappello bianco, guanti bianchi lunghi, kitten heels nere. I francobolli, oggetto di tutta la caccia, sono nascosti nella borsa nera. È il ritorno alla normalità, ma con l’eleganza intatta.
Infine non posso non menzionare il completo da notte: Reggie indossa una vestaglia blu scuro con dettagli bianchi a contrasto e pantofole azzurre a punta. I capelli, in una semplice coda, mostrano un lato più privato e sobrio del personaggio, senza mai rinunciare al controllo stilistico.
Infine una chicca. Una delle prime sere a Parigi, appena iniziate le riprese, Audrey Hepburn e Cary Grant cenarono insieme a Stanley Donen in un ristorante italiano. Nervosa all’idea di lavorare con Grant, suo idolo assoluto, Audrey cercò di rilassarsi ma, nel chinarsi a tavola per seguire un esercizio di respirazione suggerito da Grant stesso, urtò una bottiglia di vino rosso che si rovesciò sul suo elegante abito color crema. Grant, con la sua leggendaria nonchalance, tolse la giacca e rimase in camicia per tutta la serata, facendo finta di nulla. L’episodio, a metà tra l’imbarazzante e l’intimo, piacque talmente tanto allo sceneggiatore Peter Stone da ispirargli una scena del film: quella in cui Reggie fa cadere un gelato sulla giacca di Peter Joshua.
Colonna sonora
A firmare le musiche di Sciarada è Henry Mancini, che all’inizio degli anni Sessanta è già sinonimo di eleganza musicale al cinema. Dopo il successo planetario di Moon River in Colazione da Tiffany, Mancini torna a collaborare con Audrey Hepburn, offrendo al film una delle sue partiture più sofisticate e riconoscibili.
In Sciarada, la musica definisce fin dall’inizio il tono del film, con un’eleganza piena di sospetto. Il tema dei titoli di apertura si apre con un intreccio ritmico costruito da percussioni leggere – strumenti a scuotimento e legni secchi – che creano un effetto esotico, quasi tribale, lontano dalla regolarità del valzer. Il tempo è in 3/4, ma la scrittura orchestrale lo maschera con maestria, generando un’andatura fluttuante e ambigua. Emergono suoni pizzicati dagli archi, che introducono il tema con discrezione, come passi controllati. Seguono piatti orchestrali e fiati con sordina, che accentano la tensione con gusto teatrale e ironico. L’atmosfera richiama quella che Mancini svilupperà pochi mesi dopo con La Pantera Rosa (uscita nel dicembre 1963), dove il jazz orchestrale felpato e i timbri sofisticati diventeranno la sua firma inconfondibile.
Il tema di Sciarada si sviluppa poi con l’ingresso progressivo degli ottoni e l’apertura degli archi, che portano la melodia a un climax dolce ma sospeso. È musica che riflette perfettamente lo spirito del film: elegante ma ambigua, romantica ma piena di allerta, come se ogni nota nascondesse qualcosa da decifrare.
Questa traccia ottenne un enorme successo anche al di fuori del film, venendo inciso in numerose versioni strumentali e vocali. Una delle più celebri è quella di Andy Williams, che trasformò la melodia in una canzone romantica dal titolo Charade, con testo di Johnny Mercer. Il brano entrò nel repertorio dei grandi standard e contribuì a rendere ancora più iconica l’atmosfera elegante e ambigua di Sciarada.
Titoli di testa
I titoli di testa di Sciarada portano la firma di Maurice Binder, già noto all’epoca per aver ideato l’iconica apertura a mirino del primo film di James Bond, Agente 007 – Licenza di uccidere (Dr. No, 1962). Ma la collaborazione con Stanley Donen risale a qualche anno prima: fu proprio il regista a notare il talento grafico di Binder nelle inserzioni pubblicitarie e a coinvolgerlo per la prima volta nel cinema, affidandogli i titoli di Indiscreto nel 1958.
Per Sciarada, Binder realizza una sequenza che è oggi considerata un piccolo gioiello della grafica animata modernista. Linee geometriche, colori piatti e un ritmo visivo calibrato scandiscono i nomi del cast e della troupe, mentre la musica di Henry Mancini accompagna le immagini con eleganza e ambiguità. Il risultato è un perfetto equilibrio tra forma e atmosfera, in cui la leggerezza dell’animazione nasconde un senso sottile di mistero, esattamente come farà il film stesso.
L’estetica della sequenza riflette appieno lo spirito del cinema dei primi anni Sessanta, fondendo design contemporaneo e narrazione visiva in modo diretto ma sofisticato.
Sciarada debutta giovedì 5 dicembre 1963 al Radio City Music Hall di New York, in una data non casuale: è il film natalizio del teatro, una delle uscite più ambite dell’anno per qualsiasi produzione americana. Il tempismo, però, è delicato: sono passate meno di due settimane dall’assassinio del presidente Kennedy, e il paese è ancora scosso. Tanto che alcune parole come “assassinare”, presenti nel film, vengono considerate troppo forti per il momento, costringendo Audrey Hepburn e Cary Grant a ridoppiare alcune battute, sostituendole con termini più neutri come “eliminare”.
Nonostante questo clima, Sciarada conquista il pubblico fin da subito. Già nei primi giorni si formano lunghe code davanti al cinema, con spettatori in fila per ore pur di accaparrarsi un biglietto. La permanenza al Radio City viene prolungata e il film si rivela un successo commerciale, incassando oltre 13 milioni di dollari negli Stati Uniti, a fronte di un budget di circa 3 milioni. La chimica tra Cary Grant e Audrey Hepburn, il tono ironico e brillante, la bellezza di Parigi e la partitura di Henry Mancini contribuiscono a creare un’esperienza cinematografica che il pubblico percepisce come fresca, elegante e sorprendente.
Pur non avendo raccolto un bottino ricco di premi, Sciarada ha comunque ottenuto riconoscimenti importanti, a partire dalla candidatura ai Golden Globe del 1964 per Audrey Hepburn come miglior attrice in un film commedia o musicale. Non vinse – il premio andò a Shirley MacLaine per Irma la dolce – ma la nomination conferma quanto il pubblico e l’industria avessero apprezzato il suo ruolo, così distante dal canone “hepburniano” classico.
Curiosamente, Cary Grant non fu nominato, un’assenza che oggi appare sorprendente. La sua interpretazione, fatta di autoironia, eleganza e tempi comici perfetti, è diventata una delle più amate della sua carriera, ma all’epoca fu probabilmente giudicata troppo leggera per entrare nella rosa dei candidati.
La sceneggiatura di Peter Stone fu invece premiata con un Edgar Award nel 1964 come miglior sceneggiatura – un riconoscimento assegnato dai Mystery Writers of America e particolarmente significativo per un film che gioca con i codici del giallo.
Sciarada è uno di quei film che, ogni volta che lo rivedi, ti sorprende. Con la sua eleganza un po’ beffarda, i dialoghi affilati e la colonna sonora ipnotica, riesce ancora a giocare con chi guarda, come se ci stesse tendendo una trappola... ma con il sorriso.
È un perfetto equilibrio tra glamour e suspense, tra mistero e romanticismo. E anche se conosci già tutti i colpi di scena, continui a lasciarti incantare. Da Audrey, da Cary, da Parigi. E da quel valzer sospeso che ti resta in testa per ore.
Se non l’avete mai visto, lasciatevi tentare. E se lo conoscete già, tornateci: Sciarada è il tipo di film che, come certi ricordi, si gusta meglio ogni volta.
Ed ecco il film. Potete vederlo comodamente qui.
QUOTES:
Brian: Noi ci conosciamo?
Reggie: Che cos'è che glielo fa credere?
Brian: Non so, me lo stavo chiedendo.
Reggie: Vede, io conosco già tante di quelle persone che finché non ne muore qualcuna non posso far conoscenza con nessun'altra.
Brian: Hm! Be', se qualcuno dovesse entrare in agonia mi avverta.
Reggie: Lei mi nasconde il panorama.
Brian: Ehm, scusi. Ehm, quale parte del panorama preferisce?
Reggie: Quella che mi nasconde lei.
Brian: "Esiste un signor Lampert?"
Regina: "Sì!"
Brian: "Congratulazioni!"
Regina: "Non c'è di che, sto per divorziare!"
Brian: "La prego, se è per me non lo faccia!"
Reggie: Non è Shakespeare che ha detto "Quando due sconosciuti si incontrano in terra lontana presto si incontreranno di nuovo"?
Brian: Shakespeare non se l'è mai sognato.
Reggie: E lei come lo sa?
Brian: È terribile! Lo ha inventato lei.
Reggie: Be', forse ha ragione.
Reggie: Lo sa qual è il suo difetto?
Brian: No. Quale?
Reggie: Nessuno.
Reggie: Alexander, come si fa a capire se uno sta mentendo o no?
Brian: He, he! Non si può.
Reggie: Ci dev'essere un sistema!
Brian: No, vedi, c'è un indovinello su due tribù d'indiani: i piedi bianchi che dicono sempre la verità e i piedi neri che non la dicono mai. Tu incontri un indiano e gli dici: "Ciao indiano! Cosa sei, un sincero piedi bianchi o un bugiardo piedi neri?" E lui ti dice: "Sono della tribù dei piedi bianchi." Ma sarà vero?
Reggie: Be', si potrà vedere come sono i piedi.
Brian: No, perché porta i mocassini.
Reggie: Allora deve essere della tribù dei piedi bianchi.
Brian: E perché non un piedi neri bugiardo?
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- venerdì, giugno 06, 2025
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